Vincenzo Grossi, sacerdote dal 22 maggio 1869
Si è soliti considerare i «tempi» che si vivono come peggiori rispetto a quelli precedenti, ma è una forma di autoconvincimento o per ingigantire quello che si fa per affrontare le criticità o per giustificare l’inoperosità.
Come si collega tutto questo con la memoria che facciamo oggi della ordinazione sacerdotale di san Vincenzo Grossi ( 22 maggio 1869)?
Siamo appena reduci da due eventi ecclesiali importanti: la morte di papa Francesco e l’elezione di Leone XIV. Sono state occasioni per poter dire sui social tutto e il contrario di tutto, anche impunemente.
Seppure brevemente, ci avviciniamo a san Vincenzo Grossi per conoscere l’atteggiamento che ha tenuto nei confronti della Chiesa, del Papa e del suo Magistero durante la sua vita nel corso della quale ha vissuto momenti simili a quelli appena citati e perchè, dopo tutto, nemmeno i suoi tempi sono stati tempi facili per la Chiesa!
Don Vincenzo, sia durante il periodo della formazione in seminario che nei primi anni di sacerdozio ebbe della Chiesa, come autorità e magistero, una esperienza intensa e problematica. Forti correnti contrapposte all’interno del clero misero a dura prova il suo atteggiamento di «piena aderenza alla Chiesa e totale obbedienza al Papa»*. Ogni disposizione emanata dalla Santa Sede, come gli insegnamenti del Magistero, trovarono in lui sempre «adesione ed accoglienza» perché la considerava «colonna e fondamento di verità». I testimoni raccontano di un «attaccamento particolare» al Papa che si fondava oltre, a prescindere dal dovuto rispetto e sottomissione, perché diceva: «Ascoltando la Chiesa vi comunicate con il Verbo, come facendo la comunione vi unite al Corpo di Cristo».
Si dice di Lui che quando nominava il Papa si alzava in piedi e si toglieva la berretta, gesto che nelle rubriche liturgiche era riservato al nome di Gesù, ma per lui era espressione di altrettanto rispetto.
Era consapevole che l’ordinazione sacerdotale lo aveva reso partecipe della natura e della missione della Chiesa. Sentiva che l’amore alla Chiesa gli esigeva di «sposarne gli interessi, essere sensibile a quanto la riguardava, essere pieno di amore compassionevole per tutti i suoi dolori».
Amare il Papa e la Chiesa era per lui sinonimo di «obbedienza senza fare né permettere discussioni». Le sue argomentazioni sul Papa erano mirate ad «esaltarne la dignità, a farlo conoscere e amare ai fedeli, ai giovani e come impegno a pregare per lui».
Fu sempre così anche quando queste scelte lo etichettarono come «intransigente», cioè chiuso, se non addirittura ostile, alle nuove aperture, solo perché privilegiava la sottomissione al Papa e alle sue direttive.
*Le citazioni riportate in corsivo sono testualmente prese dalle testimonianze depositate in occasione del processo di Beatificazione e Canonizzazione o da suoi scritti autografi.