Frammentazione e riparazione
Il compianto papa Francesco più di una volta ebbe a dire (e più volte ne abbiamo parlato anche qui) che quello che stiamo vivendo non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Un tempo storico si sta chiudendo, portando via con sé i punti di riferimento che ci aiutavano ad orientarci, e se ne apre uno nuovo, con tutto il suo carico di incertezze e di mancanza di riferimenti sicuri. Siamo in mezzo al guado. Sia nella società che nella chiesa stiamo attraversando un passaggio delicato e doloroso, segnato da cambiamenti profondi. Intuiamo facilmente che le cose non proseguiranno più come prima, ma non sappiamo come possano cambiare ed evolversi. C
iò che fino a ieri ci dava stabilità e sicurezza, oggi si mostra insufficiente e inadeguato e così ci sentiamo smarriti e anche un po’ impauriti.
Qualche anno fa il card. Timothy Radcliffe si domandava: «In che mondo siamo? E dove stiamo andando? Come annunciare il Vangelo oggi? È ancora possibile dire il Vangelo a questa società? La storia sfugge al nostro controllo e noi non sappiamo dove ci stiamo dirigendo».
La realtà è frammentata, il mondo diviso, ogni essere umano è separato da sé, dagli altri esseri umani, dal resto della natura. L’individualismo cresce, l’integrazione della diversità è più faticosa, i muri di separazione si alzano sempre più alti, i potenti accentrano nelle loro mani forza e capacità di influenza, le contrapposizioni aumentano, creando guerre, violenze e ingiustizie, con tutte le loro nefaste conseguenze sulla vita delle persone. L’umanità non ha compreso quanto siamo strettamente legati gli uni gli altri. «Nessuno si salva da solo» si ripete spesso, ma appare ormai come uno slogan vuoto, che va riempito! È il tempo della frammentazione e della precarietà. Le solide fondamenta del passato vacillano. Abbiamo bisogno di altre «mappe», di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti.
In questo clima di incertezza, occorre mettere lo sguardo non su ciò che cambia, legato ai tempi e alle culture, ma a ciò che è transculturale, valido sempre e che dà unità a tutto ciò che è spezzettato e diviso. Occorre andare più in profondità, ritornare a ciò che sta oltre il cambiamento e che può dare senso anche al resto. Il Vangelo va a toccare proprio quelle corde del cuore che rimandano all’eterno e che bisogna saper cogliere per vivere la vita nel suo vero significato. «Solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli» (DN 28). È il cuore che unisce i frammenti e che «rende possibile qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo (DN 17). Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso» (DN 19). «Che nessuno vada perduto» dice Giovanni nel suo Vangelo. Il Cuore di Cristo è il simbolo potente e intenso dell’amore del Padre alla ricerca delle vite e dei cuori perduti, rotti. Ed è qui che va a inserirsi la logica della riparazione:
«insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore. In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto aver bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza» (DN 182). Il bene e la bellezza, l’integrità, l’armonia e l’unità, in opposizione alla frammentazione e all’essere «sparpagliati». «Uno spirito di riparazione ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda. Una riparazione completa a volte sembra impossibile. Ma l’intenzione di riparare e di farlo concretamente è essenziale per il processo di riconciliazione e il ritorno della pace nel cuore» (DN 186).