I rischi della Generazione Zeta
Possiamo dire senza tentennamenti che da un po’ di anni siamo diventati la «società social»: per moltissimi è un’ovvietà avere un profilo on line, che sia Facebook (ormai abbandonato dagli adolescenti), Instagram, Tik Tok o chissà quale altra piattaforma. Da tempo anche la Chiesa si sta interrogando su come essere presente in questo nuovo habitat.
Non si contano le pagine di influencer cattolici: preti, laici, religiosi e religiose stanno tentando di portare il vangelo anche qui, con risultati a volte pregevoli, altre che suscitano perplessità. Al di là degli esiti, è certamente apprezzabile l’impegno profuso dalla compagine ecclesiale a favore dell’evangelizzazione via web. Ma non potremmo fare di più? Non nel senso di moltiplicare ulteriormente le pagine, i profili, i siti e nemmeno nel senso di offrire contenuti migliori, più profondi o più accattivanti… Ma come allora?
Sono ormai numerosi gli studi e le ricerche che attestano i danni provocati dall’uso dei social sugli adolescenti e sui preadolescenti. La letteratura a riguardo non esita a sottolineare non solo una correlazione tra l’avvento dei social e il rapido aumento di depressione, ansia, malattie mentali, autolesionismo e molto altro nella cosiddetta «Generazione Zeta» (i nati tra la fine degli anni novanta e il duemilaquindici), ma rileva in questo una vera e propria causa. La Gen Z è la prima della storia ad attraversare la pubertà con uno schermo in tasca collegato a internet, che la distoglie dalle persone vicine e la attira verso un universo alternativo ed esaltante, che crea dipendenza e che da molti studiosi non è ritenuto adatto a bambini e adolescenti. Trascorrono molto meno tempo a giocare, toccare, parlare con amici e familiari, riducendo la partecipazione a comportamenti sociali «fisici», fondamentali per uno sviluppo sano. È la prima generazione che ha vissuto il passaggio da un’infanzia fondata sul gioco a un’infanzia fondata sullo smartphone, che produce conseguenze pesanti quali la frammentazione dell’attenzione, la privazione del sonno, la dipendenza e la deprivazione sociale.
L’obiettivo dei progettisti dei social non è il benessere dei nostri ragazzi (e nemmeno di quello degli adulti, ma idealmente questi dovrebbero avere più strumenti a disposizione per difendersi). La loro finalità più o meno esplicita e dichiarata è trovare i modi per tenere i teenager incollati agli schermi, farne grandi utilizzatori dei loro prodotti agganciandoli a uno scrolling continuo e facendo leva sulla vulnerabilità che l’età dello sviluppo porta con sé.
Ecco forse dove deve alzarsi non solo la voce degli studiosi e degli esperti, ma anche quella della chiesa, una voce profetica che denunci questa deriva legata al profitto ad ogni costo, anche al costo della salute mentale dei nostri giovani, oltre che della nostra. Oltre che occuparsi – giustamente – di essere una presenza evangelica in questo nuovo «cybermondo», gli uomini e le donne che hanno scelto di seguire Cristo nella loro vita non possono restare indifferenti davanti al dilagare di questa trasformazione. È un compito arduo, perché ci si trova a lottare contro i giganti della nuova tecnocrazia, forse i veri nuovi padroni del mondo. Ma la storia di Davide contro Golia può insegnarci qualcosa e tutto il Vangelo ci invita a trovare nella piccolezza (del seme, del lievito, del granello di senape, di cinque pani e due pesci, della pietra scartata dai costruttori) la forza rigenerante capace di ridare speranza e fiducia.
Occorre prima di tutto informarsi, approfondire, studiare questi nuovi fenomeni (per non parlare della nuova frontiera dell’intelligenza artificiale, che apre scenari sconosciuti). Non possiamo accontentarci di abitarli senza tenere conto di quali possano essere le conseguenze dell’accesso anche in giovane età a profili social. La diffusione della tecnologia digitale nella vita dei ragazzi è stata come riversare fumo nelle nostre case. È evidente che sta succedendo qualcosa di strano, ma non lo comprendiamo. Temiamo gli effetti negativi di questa cortina fumogena, ma se ci guardiamo intorno, nessuno in realtà sta facendo granché a riguardo. Iniziamo almeno a sollevare il problema.