Primi passi nel ministero

sacerdote-di-spalleIn diocesi i tempi erano critici: il rettore del seminario Mons. Guindani non ci aveva mai tenuto nascosto il fatto che negli ultimi anni parecchi sacerdoti avevano lasciato il ministero. Le parrocchie avevano quindi dei vuoti che dovevano essere colmati. Immagino che sia stato questo il motivo principale per cui il vicario Tosi non lasciò passare neppure un giorno dopo la mia prima messa per comunicarmi che dovevo andare a Gera di Pizzighettone, come coadiutore. sacerdote di spalle...Non ebbi il tempo di riprendermi dai festeggiamenti che già mi trovavo nella nuova sede. Non avevo bagagli per il trasloco e nelle due stanzette che mi vennero assegnate c’era qualche mobile un po’ trasandato per l’uso, ma ancora in grado di svolgere il suo servizio.

Sesto Cremonese
Sesto Cremonese

L’impegno maggiore fu quello di capire le necessità della piccola parrocchia per poter aiutare in modo proficuo il parroco. La popolazione era gente di fiume e di campo,  e il borgo quasi un prolungamento di Pizzighettone. Incominciai il servizio in confessionale, dove mi facevo trovare la mattina presto, poi la messa, qualche visita ai malati, e il tempo che mi rimaneva lo dedicavo a preparare le omelie. Mio fratello don Giuseppe mi offriva suggerimenti sia per i contenuti che per l’oratoria, anche se non dovevo dimenticare che, se la mia parrocchia  distava dalla sua quanto la lunghezza del ponte sull’Adda, le culture e la mentalità delle persone  erano totalmente diverse.

Nel  gennaio del 1871 fui inviato d’urgenza come coadiutore a Sesto Cremonese, un borgo molto popoloso ed attivo sprofondato nella campagna  a pochi chilometri da Cremona. Il cambio non fu semplice perché dalla tranquillità di un piccolo borgo sono passato alla complessità di una parrocchia con più di 4.000 anime

campanile di Ca' de' Soresini
Campanile di Ca’ de’ Soresini

La mia permanenza era dovuta alla malattia del parroco, infatti alla sua morte avvenuta dopo qualche mese lo sostituii come economo spirituale. Questa nomina che mi  chiedeva di svolgere tutte le funzioni del parroco aveva solo valore ecclesiastico e  non veniva riconosciuto civilmente. Infatti veniva usata come espediente quando non c’erano le condizioni per i riconoscimenti governativi. Concretamente la differenza consisteva nel fatto che non potevo usufruire in alcun modo del «beneficio» della parrocchia, ma dovevo mantenermi con qualche offerta dei fedeli, i quali ricompensavano soprattutto con beni in natura più che con denaro. In quei mesi ho sperimentato che cosa significhi dipendere dalla generosità degli altri per poter soddisfare le necessità, anche quelle fondamentali. Un giorno abbondavano le uova portate dai contadini e dopo una settimana a mala pena avevo la farina sufficiente per una polenta. Fortunatamente l’arrivo in Diocesi del nuovo Vescovo l’8 dicembre del 1871 riportò ordine anche nelle nomine e nel giugno del 1872  la guida della parrocchia passò nelle mani del nuovo parroco. Mi sentivo sollevato da una pesante responsabilità soprattutto perché ero molto giovane e la realtà pastorale impegnativa. Alla fine dell’estate del 1872 ero di nuovo in cammino con la mia valigetta verso Ca’ dei Soresini  ancora come economo spirituale, dove rimasi pochi mesi. Quando andavo a far visita alla mia famiglia mi chiedevano  spiegazione di questi cambi abbastanza ravvicinati: non c’erano altre ragioni se non la precarietà del governo della diocesi e i conflitti burocratici che si erano aperti con la questione romana. Con l’ingresso di mons. Geremia Bonomelli avevamo tutti fiducia che la barchetta della diocesi avrebbe incominciato ad essere meno in balia delle onde della precarietà.

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