Mons. Bonomelli e don Vincenzo Grossi

L’episcopato di Mons Bonomelli che durò 43 anni (1871-1914), fu il luogo della santità di don Vincenzo Grossi. Non sembra che don Vincenzo abbia trovato facile l’incontro di quasi mezzo secolo col suo superiore, ed il problema è rimasto piuttosto sospeso nelle biografie, ora attribuito a divergenze politiche, ora all’aurea di mistero che ha circondato la nuova fondazione del parroco Grossi nei primi anni.

Per onorare la verità storica, non si può interpretare questa relazione a prescindere dalle relazioni reali di Mons Bonomelli con il suo presbitero. Ci fu l’occasione della visita pastorale a Regona in seguito alla quale il Vescovo, nelle note relative a tale visita, esprime la sicurezza per il sacerdote «istruito, zelante, di massime eccellenti».

E quando gli chiede la missione di Vicobellignano, la stima per le virtù e per le capacità pastorali si esprime senza alcun dubbio nel comando perentorio in nome dell’ubbidienza. Non si possono leggere questi scritti senza commozione per la stima e l’apprezzamento del presbitero che in essi vengono esaltati. Da parte del grande Bonomelli sono il frutto di una piena di coscienza e costituiscono il primo decreto di beatificazione firmato dall’autorità competente.

Alcuni episodi, riportati dai testimoni con un evidente tono apologetico, ma anche lo stesso Decreto di scioglimento del 1897, sono polvere di fronte alla solidità e all’evidenza documentata della posizione del Vescovo.

Che cosa sarebbe stato dell’Istituto se il Vescovo Bonomelli non avesse dato l’essenziale fiducia e la pienezza dell’approvazione e la pubblica lode al buon parroco, raccomandando l’istituzione nascente delle figlie dell’Oratorio ai parroci della diocesi?

Può ancora trovare spazio anche solo un dubbio sottilissimo che tra i due non corresse buon sangue?

Commenta C. Bellò che «il Grossi e le figlie dell’Oratorio possono contare non solo sulla leale approvazione di uno dei più grandi vescovi, ma di una delle più alte coscienze religiose della chiesa contemporanea. E quanto più saranno consapevoli della vita spesa dal vescovo Bonomelli e dal Grossi per amore della Chiesa, tanto più saranno in grado di comprendere le varianti dell’unica animazione ecclesiale che spinse il fondatore all’istituzione e il Vescovo ad acconsentirvi».

Il Vescovo riconosce e approva «lo sguardo solerte, verso la Chiesa a livello di popolo, una dedizione sincera e totale al ministero della carità, un continuo defluire dell’orazione in operazione, e l’assiduo risalire dell’azione verso le sorgenti della visibilità contemplativa» (C. Bellò).

Ridare futuro al Carisma, oggi, non passa solo attraverso il sincero affetto filiale al fondatore, ma necessita del confronto con la realtà. Nella crisi delle opere e della religiosità del nostro tempo è necessaria una fedeltà ad un mandato che non può fermarsi nella esaltazione di un fondatore, ma a partire da essa, inserirci nella storia della comunità cristiana, dove la volontà di Dio si rivela.

Guardiamo a don Vincenzo Grossi non al passato, ma alla storia dell’uomo e a come l’ha vissuta per ricavarne uno slancio creativo nell’oggi.

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