Disturbo e inquietudine ci accompagnino sempre

Il naufragio di qualche giorno fa sulle coste crotonesi che ha visto decine di vittime, tra cui anche tanti bambini, non può lasciarci indifferenti, non può non interpellare le nostre coscienze spesso dormienti.

Viviamo in un mondo in cui ci sono risorse e spazio per tutti, ma costruito su un sistema che crea disuguaglianze e ingiustizie, un sistema economico iniquo e violento, che porta a squilibri irrecuperabili e allo sfruttamento avido e insaziabile.

Un sistema in cui qui in occidente siamo immersi con la mancanza quasi totale di consapevolezza, che ci intorpidisce la coscienza, che non ci inquieta nemmeno più, tanto lo diamo per assodato.

Abbiamo bisogno di tornare a inquietarci, di uscire dalla nostra placida indifferenza, di lasciarci provocare da chi affronta il rischio di tali viaggi per cercare un futuro migliore. Non possiamo chiudere gli occhi o accontentarci di dire «poverini», o peggio ancora, «non devono partire!». 

La vita e la morte di queste persone devono scrollarci dal nostro sonno, devono allargare l’orizzonte del nostro sguardo e del nostro cuore.

Noi consacrati e consacrate abbiamo fatto voto di povertà, abbiamo scelto di seguire Gesù che non aveva dove posare il capo e che ha vissuto senza tane e senza nidi. Eppure sono loro, questi uomini e donne (non vogliamo chiamarli migranti) che si mettono in viaggio da luoghi lontani, che ci insegnano cosa significa rischiare, cosa significa sperare, cosa significa non avere tane e non avere nidi. Sono ancora loro che ci educano a credere in un sogno, a non rassegnarci, a non dire «ormai!», ad avere fiducia nella vita a prescindere dalle garanzie e dalle sicurezze a cui tanto ci aggrappiamo e a cui immoliamo le nostre esistenze.

Non possiamo accontentarci solo di mantenere l’esistente, non possiamo permetterci di preoccuparci solo di noi stessi, non ci è concesso di non condividere la fortuna che abbiamo. Il Vangelo deve sprigionare una forza nuova, non può restare chiuso tra le mura delle nostre strutture che difendiamo a denti stretti. Se ci siamo accomodati, è ora di scomodarci. Se ci siamo imborghesiti, è ora di tornare poveri. Se ci siamo assopiti, è ora di svegliarci, di rimettere olio nelle nostre lampade, di ridare fiato al lucignolo fumigante della profezia a cui siamo chiamati per essere fedeli al Vangelo e a noi stessi.

Forse queste sono e resteranno solo parole. Probabilmente tra qualche giorno si chiuderà il sipario su questa tragedia, fino alla consumazione della prossima. Speriamo almeno che i famosi «auguri scomodi» di don Tonino Bello restino a inquietarci e a disturbarci:

«Tanti auguri scomodi, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio».

 

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