Nuovo «gattopardismo»? (Convegno FdO – 2)

Capita spesso che i profeti non siano ascoltati e che paghino caro il loro parlare senza mezze misure e il loro rifiuto a scendere a compromessi. P. Grega ha sottolineato in particolare l’esperienza di Geremia, «un uomo considerato dai più un disfattista, per la lucidità con cui sa dire che un’esperienza ed una fase storica è finita, che certe sicurezze sono false e fuorvianti e che occorre avere il coraggio di aprirsi ad un’altra e nuova realtà che la storia, con le sue vicende intricate, sta indicando». Un uomo vissuto in un periodo di cambiamenti dolorosi, che si scaglia con decisione contro coloro che si ostinano a difendere l’esistente e che non si aprono a nuove vie. L’esilio a Babilonia è la novità da accogliere. Una novità che fa crollare i sogni di gloria, che costringe a ridimensionarsi, che riduce all’osso ciò che richiama all’appartenenza al popolo di Dio, che fa crollare ciò che si è sempre ritenuto essenziale ma non lo è. Una novità che è difficile accogliere con entusiasmo, che toglie certezze e sicurezze, ma che resta la strada che la storia fa emergere per rimanere fedeli a se stessi e al Signore, per continuare ad essere ciò che siamo chiamati a essere.

Geremia «dichiara in modo plastico la transitorietà della forma, di ogni forma, afferma la sua relatività». Questo «è richiamo importante per noi, per non consacrare e sacralizzare una forma, quale che sia». Se anche cambia la forma, se anche ci sentiamo in esilio, c’è un cammino che continua e noi siamo chiamati a starci dentro con discernimento e libertà, per evitare di impiegare le nostre (poche) energie per salvare le nostre strutture o preoccupandoci solo di perpetuare noi stessi, dimenticandoci che le vocazioni hanno sempre nell’intento di Dio una destinazione per la salvezza degli altri. Non possiamo partire dal presupposto che l’impianto della vita religiosa che ci caratterizza sia quello buono e che si tratti solo di aggiornarlo e farlo funzionare. E nemmeno possiamo dare per scontato che il problema dei «contenuti» della vita religiosa sia a posto e adeguatamente risolto. Cos’è che veramente conta per noi consacrati? Che cosa viene prima? Che cosa è irrinunciabile? È indiscutibile che urgono scelte nuove, ma a quale livello deve avvenire questo cambiamento, e in ordine a che cosa? Se non ci si confronta su questo, il rischio è quello espresso nel romanzo «Il Gattopardo» nella famosa frase di Tancredi: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», espressione non di un desiderio autentico di cambiamento ma di una volontà volta a mantenere una posizione di comodo e di privilegio, adattandosi alle nuove condizioni ecclesiali, politiche e sociali. P. Grega lo evidenzia con queste parole, che meritano di essere ricordate e rilette spesso:

«Non si tratta di fare oggi più in piccolo quello che ieri facevamo più in grande, ma di ripensare il nostro modo di essere partendo dalla funzione propria della vita consacrata nella Chiesa.  Ri-dimensionarci non significa solo chiudere qualche opera, concentrarci in qualche altra e continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto, ma recuperare un modo diverso di vivere insieme la nostra consacrazione e la nostra missione». Non dobbiamo procedere come se fosse possibile andare dalla «regola» al Vangelo, perché il percorso è esattamente al contrario: solo il Vangelo assimilato in profondità può produrre il modo di vivere di cui c’è bisogno.

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