Grazie, Gianmaria, fratello e padre per molti all’«Acquedotto» di Roma

Padre Gianmaria: un nome non comune, che lo faceva riconoscere e ricordare nella lunga schiera di sacerdoti, religiosi, in particolare frati minori, che sono passati all’Acquedotto Felice – Roma -, per il servizio alla Cappella San Filippo Neri.

Da giovane un po’ temerario, fino al punto di caricare due suore e due aspiranti-suore su una vecchia cinquecento, per dare un passaggio quando, dopo la messa celebrata all’alba per la comunità, erano in ritardo per la scuola.

Anni fecondi quelli del ’60, trascorsi all’Acquedotto Felice, ai tempi in cui la zona era ancora depressa, con famiglie per lo più emigrate dalla provincia o dal Sud. Qui padre Gianmaria ha fatto le prove generali per il suo futuro di missionario ad gentes, arrivando a raccogliere tutti gli uomini del quartiere per celebrare il «precetto pasquale», fino a quando ha deciso di partire oltreoceano.

Da uomo e religioso maturo, missionario in Bolivia, ma per pochi anni. Ha dovuto, infatti, lasciare il paese perché «non gradito alle autorità pubbliche» per la sua opera a favore dei diritti dei poveri e dei campesinos.

Ed infine per parecchi anni Penitenziere nella Basilica di san Giovanni In Laterano, fino al suo ritiro nella provincia di origine, Novara, per motivi di salute.

L’affabilità e la mitezza sono state caratteristiche costanti nel suo tratto, che aveva il sapore di familiarità senza dare spazio anche solo a una parvenza di eccedenza, ma non per questo con tendenze al formalismo.

Padre Gianmaria, confessore non per ripiego, né frustrato per un sogno non realizzato, ha vissuto questi anni in cammino con i penitenti che si presentavano a lui. Cammino di fede, prima di tutto, poi di evangelizzazione e soprattutto di misericordia. Non era di quei confessori che ascoltano chi si presenta senza preoccuparsi, non diciamo di capire, ma nemmeno di sentire e di sentire bene. Per cui data l’assoluzione e la penitenza di rito, passavano al successivo.

Lui, dopo aver ascoltato l’elenco delle colpe, corto o lungo, chiaro o contorto, chiedeva: che cosa di bene hai compiuto in questo tempo?, sorprendendo il penitente e mettendolo in imbarazzo.

Non parlava con il manuale alla mano per valutare il peso morale di quanto ascoltato, né con il devoto buon senso comune che riprendeva colpa dopo colpa per fare il fervorino: neppure con una generica esortazione scontata che non arrivava all’anima. A prescindere dalle colpe confessate, spostava l’attenzione sui testi biblici della Liturgia del giorno, non per distrarre dal peso dei peccati, ma perché questo era lo stile di Gesù con i peccatori. Condivideva, infatti, la sua meditazione personale che iniziava con la messa che celebrava da solo alle 5.00 del mattino, senza fretta, per essere pronto in basilica al confessionale alle 6.30/7.00. Una meditazione che ha scavato la sua anima come una goccia, che ha formato l’anima dei penitenti ad una fede, mentalità, sentimenti fondati e radicati nella Parola del Signore.

In quel «a tu per tu», tipico della confessione, la relazione non era più a due, chi parla e chi ascolta, ma era presente il Signore che attraverso il testo del vangelo o della scrittura accoglieva, animava, correggeva, consolava, illuminava. E se l’assidua frequenza al confessionale, come pure il crescere della confidenza favoriva la nascita di una intesa importante e gratificante, questo non era il cuore della relazione, al centro rimanevano sempre il Signore, la sua Parola e la coscienza del penitente.

Una relazione che fuori dall’ambito della confessione, pur essendo cordiale, non aveva nulla di confidenziale!

Padre Gianmaria, autentico padre nello spirito! Deo gratias!

Ha terminato la sua lunga vita nell’infermeria della comunità dei frati minori di Trento il giorno 6 gennaio u.s.

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