Dialogo: Il Vangelo non è una clava (Sintesi Nazionale fase diocesana – 8)

In Occidente viviamo un tempo e un contesto sociale che non possono più essere definiti cristiani. Il mondo attuale non ha più la conoscenza del contenuto della fede; Gesù Cristo non è una realtà presente ma viene considerato un personaggio del passato. La Chiesa non è più l’unica agenzia che produce cultura e nemmeno la più ascoltata. La sintesi sinodale ha riconosciuto «che la fede non è più il punto di riferimento centrale per la vita di tante persone: per molti il Vangelo non serve a vivere».

Non è un giorno che viviamo in un ambiente secolarizzato; di questo ne va preso atto, senza scandalizzarsene e senza lasciarsi andare alla nostalgia di un passato che non tornerà, rimpiangendo l’epoca della cristianità trionfante. Si tratta invece di saper accogliere le domande che ci pone oggi questa umanità che ha subito cambiamenti profondi in tempi brevissimi.

«Una Chiesa sinodale è consapevole di dover imparare a camminare insieme con tutti, anche con chi non si riconosce in essa, con chi appartiene ad altre fedi, con chi non crede, imparando a decentrarsi e ad attraversare i conflitti». Il Sinodo è una straordinaria opportunità affinché la Chiesa ricominci con passione a parlare a tutti, non per convincere gli altri che “noi abbiamo la verità” o vedendoli come una preda da conquistare, ma per «lasciarsi sorprendere dai semi del Verbo presenti in ogni contesto, scorgendoli nei luoghi e nelle forme più impensate, come segni di creatività dello Spirito».

Camminare con chi non si riconosce nella Chiesa non significa portare chi non crede dentro i nostri recinti, ma riconoscere piena dignità a chi si ha di fronte, vedere nell’altro un interlocutore vero, con pari onorabilità e rispettabilità. «Chiesa in uscita» non è l’inventarsi nuovi modi per convincere qualcuno a tornare dentro con noi. La missione non può essere ridotta a eventi dimostrativi ed estemporanei per poi rintanarci nelle trincee di sempre. Annunciare il Vangelo all’uomo di oggi implica una grande apertura e disponibilità a lasciarci trasformare anche noi.

«La cura della casa comune, il dialogo intergenerazionale, l’incontro tra diverse culture, la crisi della famiglia, la giustizia, la politica, l’economia, gli stili di vita, la pace e il disarmo… La comunità cristiana è chiamata a dire la sua, ma spesso appare afona, chiusa, giudicante, frammentata e poco competente».

«Troppo spesso abbiamo un’ossessione a giudicare, perché sentiamo che se non lo facessimo non adempiremmo al nostro ruolo. C’è dentro di noi uno zelo che ci porta a difendere la trincea della verità. Pensiamo che questo sia il nostro essenziale compito e che questo significhi seguire il Vangelo. Ma non è così. Perché certo il Vangelo è la verità ma è ben diverso dall’atteggiamento farisaico, il quale comunica la Legge, mentre a noi il Vangelo chiede di comunicare l’Amore. Dirti la legge è condannarti. Non possiamo usare il Vangelo come una clava. La misericordia, l’ascolto non giudicante, l’attenzione pastorale non sono cedevolezze» (Card. Zuppi).

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