Relazioni. Quanto vale un ciao? (Sintesi Nazionale fase diocesana – 3)

«Nella Chiesa abbiamo bisogno di maggiore confronto con la vita vera: il lavoro pastorale non dev’essere in vista dell’autoconservazione di sé, della struttura pastorale. Spendiamo tante energie per conservare e continuare a far funzionare la nostra macchina organizzativa, quando invece la pastorale dovrebbe essere il modo quotidiano di creare relazioni all’interno della chiesa e con le persone che vivono sul territorio. Bisogna arrivare concretamente alle persone, nei modi più semplici. Invece spesso siamo una macchina obesa, che si autoalimenta e non va a servizio di niente e nessuno». Sono parole del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, pronunciate dopo il primo lockdown, e che ben si conciliano con quanto emerso dalla sintesi nazionale: «Le persone vengono prima delle cose da fare e dei ruoli: questo principio è risuonato più volte nella consultazione sinodale, insieme al riconoscimento di quanto venga spesso disatteso».

Anni fa un famoso libro di E. Fromm poneva l’interrogativo «avere o essere»? Oggi il dilemma potrebbe porsi invece tra il fare o l’essere, tra la centralità da dare all’organizzazione oppure alle persone. E se sulla teoria, non c’è dubbio alcuno che «l’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale», di fatto non possiamo nascondere che la vita delle parrocchie spesso è sbilanciata sul fronte dell’attivismo. Parole come programmazione, calendari, piani pastorali sono di casa nelle nostre comunità, ma sono un segnale chiaro del pericolo di trascurare le persone con le loro esigenze e peculiarità, in nome di un efficientismo che ha più il sapore dell’azienda che di un luogo dove sentirsi a casa. Non è facile vivere le relazioni, forse è più semplice organizzare eventi, ma è nella relazione che si compie la nostra vocazione, la nostra verità. «La dimensione relazionale non cresce in modo automatico, ma giorno dopo giorno dando spazio all’incontro, al confronto e al dialogo, e sapendo camminare con gli altri senza voler imporre a tutti i costi il proprio ritmo. Ognuno nella comunità ecclesiale ha bisogno di imparare a vivere relazioni più attente all’altro».

«Le relazioni hanno bisogno di tempo e di cura costante: sono un bene fragile» su cui occorre sempre lavorare. E per far questo, a volte basta anche un ciao detto con consapevolezza. Questo saluto viene dal veneziano «s’ciao» che deriva dal latino «sclavus». Dire ciao significa dire «sono tuo schiavo», al tuo servizio, vuol dire riconoscere la dignità di chi ho di fronte e spogliarsi delle maschere e delle difese dietro cui ci nascondiamo. «La cura delle relazioni chiede di non lasciarsi ingabbiare da ruoli e funzioni – pur necessari – e di non utilizzarli come recinti in cui chiudersi», ma di essere semplicemente fratelli e sorelle che sanno essere leggeri, veri e autentici.

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