La «cura» di san Giuseppe

L’istituzione di una festa liturgica per san Giuseppe avviene con Sisto IV nel 1481, fissandola al 19 di marzo. Innocenzo VIII la eleva di ruolo e con Gregorio XV diventa festa di precetto. Nel 1714 Clemente XI compone un nuovo ufficio. A lungo dimenticato san Giuseppe è da allora festeggiato nella Chiesa universale.

È Prospero Lambertini (Benedetto XIV) a collocare teologicamente Giuseppe. Infatti l’8 dicembre 1870 la Sacra Congregazione dei Riti proclama solennemente san Giuseppe patrono della Chiesa universale

San Vincenzo Grossi, ordinato sacerdote appena un anno prima (1869), cresciuto pastoralmente nel clima di questa considerazione della figura di san Giuseppe, affida a Lui come patrono particolare la nuova fondazione, chiedendo alle suore di sottolinearla con le forme ascetico-spirituali e devozionali del tempo: novena, digiuno alla vigilia della sua festa, solennizzare la festa e introduzione delle sue immagini nelle case e nelle cappelle particolari.

Oggi, pur rispolverando le proposte del nostro Fondatore, guardiamo a san Giuseppe non solo come a un patrono ma ad un apripista. 

Tra le sue caratteristiche spicca quella della «cura». Una cura silenziosa, verso Gesù e Maria, che attua nella discrezione e con responsabilità. «Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti» suggerisce papa Francesco. Per noi donne religiose è la maternità che implica la cura, quella reciproca in comunità, quella verso i destinatari del nostro servizio, quella specifica del nostro carisma che è la cura spirituale per i sacerdoti e oggi, che le nostre attività apostoliche si stanno riducendo, si può parlare di chiamata alla «cura della chiesa universale» e dell’umanità, e in essa dei suoi membri più fragili.

I mezzi per esprimere la «cura» possono cambiare perché sono diversi i contesti e le risorse, ma la cura, quella vera, mette sempre al centro la persona, le persone con i loro bisogni.

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