L’Epifania tutte le feste porta via?

«L’epifania tutte le feste porta via!» proclamò la perpetua, mentre don Vincenzo entrava in casa dopo la messa solenne. E per lei voleva dire, tornare alla routine quotidiana: niente preti a pranzo, niente orari straordinari, niente tovaglie da lavare e stirare, insomma un po’ di pace.

Don Vincenzo, scaldandosi vicino al camino, le rimandò: «No, no, cara mia, mancano ancora tutti i santi di gennaio e sai bene che sono tanti e tutti chiedono di essere festeggiati in chiesa».

«Ma li ricordiamo già con i detti che tutti ripeteranno nel loro giorno e sappiamo che sono veri, io almeno ci credo!», aggiunse la perpetua.

«Ai santi o ai detti?», chiese don Vincenzo. La domanda mise in confusione la donna che si allontanò con una scusa.

Don Vincenzo aveva bene in mente la festa di san Bassiano a Pizzighettone, suo paese natale, il 19 gennaio, e quando anche da parroco di Regona partecipava al triduo in preparazione, e una volta che gli hanno chiesto di fare il panegirico del santo alla messa solenne!

La perpetua, ritornando, ricordò la festa di sant’Antonio abate, il 17 gennaio, e tutte le usanze ad essa legate: la benedizione delle stalle o meglio degli animali, e il parroco che al rientro dal giro delle cascine trascinava un cesto pieno di ogni ben di Dio: le donne delle cascine, infatti, lo ringraziavano in questo modo fiduciose che più generoso era il dono più efficace la benedizione.

Al sagrestano che nel frattempo era venuto in canonica a portare li spiccioli delle elemosine delle messe, Don Vincenzo ricordò di incominciare a togliere le ragnatele dal quadro di San Sebastiano, per il giorno 20 gennaio, e poi di spolverare quello di san Mauro che era dietro nel coro l’altare, per il 15 gennaio, e di riprendere dal ripostiglio l’immagine di sant’Ilario per il 13 gennaio. Per san Bassiano, poco conosciuto nella bassa cremonese, avrebbe fatto venire lui un quadro da Pizzighettone.

«Come mai, quest’anno, li tiriamo in ballo tutti?», chiese il poveretto che vedeva venire avanti un lavoro straordinario per lui e poi tutte quelle date gli avevano messo confusione in testa. Erano  santi che tutti conoscevano, non bastava un segno di croce e una giaculatoria «popolare»?

Don Vincenzo, proprio perché sapeva questo spiegò:

«Perché vedo che ancora c’è, un po’ per abitudine o per tradizione, una forma di paganesimo, soprattutto nelle campagne. Molti sono cristiani, ma lo spirito del cristianesimo non ha ancora trasformato le famiglie, le città, le nazioni. Questa trasformazione grazie alla quale la virtù e la vita cristiana pratica, operosa, trionfatrice, penetra la società e la famiglia, io la chiedo a questi uomini d’azione e di sacrificio, potenti in opere ed in parole, a questa schiera di santi, monaci, martiri, e vescovi».

Don Vincenzo mettendoli in evidenza anche nei riti voleva che venissero riscoperti e ricordati come loro predecessori nella vita e nella fede e non solo legati ad eventi naturali come il gelo, la neve, gli animali o la luce del giorno. Era un piccolo passo per cristianizzare vecchie tradizioni, ignorarle era lo stesso che conservarle senza un afflato cristiano.

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