L’opossum e il serpente (Vita Consecrata 2)

In casi particolari di pericolo alcuni animali – il più famoso è l’opossum – adottano una strategia di difesa chiamata tanatosi: davanti alla minaccia incombente, si immobilizzano fingendosi morti, in attesa che il predatore che mette a rischio la loro vita se ne vada. E quando il pericolo è scampato, si risvegliano e tornano alla «normalità». Altri, più semplicemente, si danno alla fuga, nella speranza di essere più veloci dei loro inseguitori affamati.

Abbiamo già evidenziato più volte in questo blog che quella che stiamo vivendo non è solamente un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca che ci interpella e ci provoca a mettere in atto delle strategie per attraversare il guado non solo senza soccombere, ma maturando nuove visioni sulla vita consacrata, nuove vie per incarnare il Vangelo e nuove modalità di essere chiesa in questo contesto storico.  Ecco allora che non possiamo assumere l’opossum come modello comportamentale per affrontare questa transizione. Nemmeno la fuga può essere una buona strategia. Davanti agli enormi mutamenti sociali ed ecclesiali in cui siamo immersi, non possiamo chiudere gli occhi e far finta di nulla, nell’attesa che quello che viene percepito come pericolo (e non è detto che lo sia) se ne vada; e nemmeno si può fuggire, cercando rifugio in anfratti nascosti e asfittici, nel «si è sempre fatto così», nel mero tradizionalismo ancorato al passato.

Piuttosto, siamo chiamati a una maturazione che richiede la disponibilità a trasformarsi, ad assumere una forma diversa pur non cambiando la sostanza; il riferimento allora può diventare il serpente, che, per non morire, cambia pelle, vive appunto quella che tecnicamente si chiama la “muta”. La loro epidermide non è elastica e dunque quando crescono diventa come un vestito stretto. Vestito che fino a poco prima era necessario e indispensabile per vivere, ma che ora rischia di togliere il respiro.

La vita consacrata, o meglio, le donne e gli uomini consacrati a Dio, non fanno eccezione e sono anche loro chiamati a prendere sul serio questo tempo di crisi, con l’evangelica astuzia dei serpenti.

Il primo cambiamento che ci è chiesto è forse proprio quello dello sguardo sul tempo che stiamo vivendo, non vedendolo come una minaccia da cui difenderci o da cui proteggere le nostre assolute certezze, ma come occasione per smettere di mettere pezze vecchie in vista di salvare il salvabile, per imparare invece a osare di più nel modificare le nostre strutture e nel lasciar cadere le sovrastrutture ormai strette e soffocanti, come la pelle vecchia del serpente.  

Papa Francesco ha ripetuto spesso che la vita consacrata non è un «pezzo da museo» messo in una vetrina per essere contemplato e ammirato, ma una realtà viva. Occorre impegnarci a mantenere vivo il fuoco e non cedere alla tentazione di adorare le ceneri. Per questo è fondamentale entrare in un processo di discernimento personale e comunitario. È il tempo di prendere decisioni. Se sono quelle giuste, sarà una crisi di crescita; se non sono quelle giuste per il momento attuale, potrebbe essere una crisi di morte, non per la vita consacrata in quanto tale, ma per alcune forme di vita consacrata.

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