Cortocircuito carismatico (Vita Consecrata 4)

Da alcuni decenni a questa parte, nell’ambito della vita religiosa si parla molto di carisma, nei modi più diversi, spesso anche discutibili, e c’è grande confusione.

Soprattutto nel mondo occidentale, pare che ogni istituto – anche quelli più recenti – tenga a rivendicare un carisma proprio, tanto che ciascuna congregazione ha compiuto sforzi enormi per studiare, approfondire, far emergere aspetti nascosti del proprio carisma fondazionale. Si sostiene che il carisma sia un dono particolare dello Spirito, ma è come se si fosse creato una sorta di cortocircuito che ha portato troppo spesso a identificare il cosiddetto carisma con un lavoro pastorale particolare o con un’opera o un ambito specifico di azione. In realtà, ciò che dà consistenza alla vita consacrata non è primariamente ciò che fa, ciò che si vede, ma la forma di vita evangelica che le persone consacrate professano e vivono. 

Essere comunità religiosa e carismatica significa soprattutto una cosa: essere gruppi di persone che tengono il Cristo Gesù al centro del loro stare insieme e solo dopo, come conseguenza, si dedicano al resto. Il carisma si giudica da qui: se è l’assoluto di Dio e di Cristo il tutto della comunità, oppure no.

Allora pensando al carisma, non possiamo pensare solo a ciò che è funzionale. Confondere il carisma con le opere di un istituto porta inevitabilmente fuori strada; giudicare la vita consacrata solo in base a ciò che fa è un miraggio, un’illusione e la pandemia, con il blocco di tutte le attività, comprese le nostre, ne ha fatto emergere l’inconsistenza.

In una recente lunga intervista, mons. Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, afferma che «la grande responsabilità che la vita consacrata ha davanti a sé in questo momento è rivisitare il carisma per ricrearlo e rivitalizzarlo, affinché, nonostante il passare dei secoli, continui a conservare la giovinezza che viene dallo Spirito che fa nuove tutte le cose e con la sua forza ci spinge a trovare nuove forme che esprimano questo dono». Ma in che termini affrontare il discorso? In quale prospettiva possiamo interpretare la questione carismatica per evitare i malintesi emersi sopra? Se opere e carisma non sono sovrapponibili, la via non è certo da cercare in un rinnovamento di quel che facciamo o in un aggiornamento professionale. Padre Marko Rupnik azzarda l’idea che la vita religiosa stia crollando proprio perché non è più espressione della comunione, ma dell’organizzazione. Di conseguenza, non possiamo più focalizzare l’attenzione su tanti «carismi» che rischiano di farci perdere di vista «IL» carisma della vita religiosa. Forse fino ad ora ci siamo preoccupati troppo poco di formare a saper leggere ciò che Dio fa per noi uomini e donne, sostituendolo con ciò che facciamo noi per il mondo e ritenendolo più importante. È quando non sappiamo chi siamo che ci buttiamo ancor di più nelle opere, in un attivismo che distrae dalla coscienza di noi stessi e dalla realtà, dalla consapevolezza di Dio.

Il punto di partenza buono quando parliamo di carisma è indubbiamente lo Spirito Santo, perché è Lui che rende possibile la vita cristiana, donandoci un’intelligenza più profonda del mistero di Gesù e della sua vita. Carisma allora è entrare in comunione con le intenzioni profonde di Dio e del suo Cristo, con il senso che egli dà alle cose, agli avvenimenti, alla nostra vita; assimilarne lo stile e i sentimenti, per amare come lui ha amato. La profezia del carisma è la capacità di andare oltre la scorza delle cose. È per questo che il carisma va inevitabilmente contro il già dato, contesta e rinnova; quando il vissuto concreto non risponde più al senso vero delle cose mostrato dalla Parola interiorizzata, il carisma diventa anche rottura. Ancora Carballo ci ricorda che «non possiamo essere vittime di una “memoria archeologica”. La vita consacrata non è un “pezzo da museo” messo in una vetrina per essere contemplato e ammirato, ma una realtà viva, che non può rifugiarsi nelle mere tradizioni della comunità o dell’Istituto e nemmeno nella memoria storica».

Rispondi