In margine alla storia di una donna che aveva perduto una moneta

L’arcivescovo di Milano, Mons Mario Delpini, in preparazione alla visita pastorale cittadina, ha proposto una parabola evangelica tanto breve quanto densa. Le sue considerazioni  dirette alle parrocchie possono essere una luce anche per la vita religiosa, per le nostre comunità che, inserite nelle chiese locali ed insieme ad esse, vivono e attraversano questo tempo cercando di scoprirvi i segni del cambiamento.

In breve la parabola. Una donna ha perduto una delle dieci monete che costituivano la sua ricchezza. Non si consola con il gruzzolo che le è rimasto, né piange sconsolata per la perdita. Cerca di prendere consapevolezza dei sentimenti che si muovono dentro di lei, e poi passa all’azione che ha il suo epilogo in una festa con le vicine.

La perdita della donna rimanda facilmente alle «molte perdite» che la vita religiosa ha vissuto in questi anni: l’attrattiva, l’evidenza a livello operativo e apostolico, l’audacia della fantasia e del sogno creativi.

«C’è tutto un passato che è tramontato», dice Mons. Delpini alle comunità parrocchiali, di cui prendere consapevolezza, e mette in guardia  da «un attaccamento eccessivo ad esso che può diventare pesante condizionamento per l’incontro con l’oggi nel quale ci sono domande profonde, che chiedono di essere ascoltate». Troppo frequentemente le persone, anche quelle che frequentano le nostre comunità siano esse parrocchiali o religiose, vanno altrove a cercare risposte ai loro perché esistenziali!

Sotto le ceneri di un «crepuscolo» che si profila all’orizzonte, c’è un Fuoco che può far rinvigorire, una Sorgente in grado di mantenere la vita religiosa in vita senza macchinosi e artificiosi «accanimenti». È tempo, però, che ognuna riattizzi  il «fuoco» nuovo, e attinga abbondantemente alla fonte.

Per la donna del vangelo una moneta aveva lo stesso valore quanto le altre nove, e questo è stato determinane per attivarsi a recuperarla. Con cura e senza ansia, ha incominciato a spazzare la casa: voleva trovare, ad ogni costo, la sua moneta. Le amiche e le vicine, accorse perché informate del suo incidente domestico, si erano fermate sull’uscio di casa e, se anche lei sola armeggiava con la ramazza, la loro empatia e gli eventuali suggerimenti l’accompagnavano.

È  una scena, suggerisce l’arcivescovo, che richiama a lavorare, a «una comunione più intensa e a una missione più attenta al tempo che viviamo  a muoversi in forma inclusiva nella consapevolezza di far parte di un organismo ecclesiale più ampio» non come maestri, ma semplicemente come membri del popolo  di Dio.

Ed infine, la festa!

L’arcivescovo sollecita le comunità a coltivare il desiderio di fare festa, e non si riferisce solo alla celebrazione liturgica, ma pensa alla festa  gratuita e giocosa della fraternità e dell’amicizia. 

Egli auspica che  il «Gioite con me!» della donna rivolto alle amiche, si  possa moltiplicare in ogni comunità secondo le proprie «modalità di fare festa» da custodire e alimentare.

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