Il tuo nome è «Amore»

Nell’anno dedicato a San Giuseppe, non poteva che essere lui il riferimento nel messaggio del Santo Padre per la 58° giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Proprio lui che «non strabiliava, non era dotato di carismi particolari, non appariva speciale agli occhi di chi incontrava» ci viene indicato come esempio e segno che la vocazione non è questione di talento, di professionalità o bravura per riuscire a «fare cose», ma ha a che fare con la pienezza del cuore e con la possibilità di amare davvero. «Se chiedessimo alle persone di esprimere in una sola parola il sogno della vita, non sarebbe difficile immaginare la risposta: “amore”. È l’amore a dare senso alla vita, perché ne rivela il mistero. La vita, infatti, si ha solo se si , si possiede davvero solo se si dona pienamente». Potrebbe sembrare un’affermazione scontata. Ma è proprio così? Se per un attimo restringiamo il discorso vocazionale alle cosiddette «vocazioni di speciale consacrazione», non è così improbabile imbattersi con preti oberati – loro malgrado – di impegni che hanno più a che fare con il management che con la vita pastorale; con religiosi e religiose indaffarati a tenere in piedi le opere dei loro istituti, opere che però non sono più in grado di sostenere come prima la fede delle persone. Ci si ritrova ad essere più preoccupati di «fare il bene» che di «voler bene».

Il papa, attraverso la persona di San Giuseppe, ricorda invece che «a questo tendono le vocazioni: a generare e rigenerare vite ogni giorno. Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze». La chiamata è quella a essere uomini e donne capaci di rapporti umani veri, di relazioni profonde segnate da capacità di accoglienza, di ascolto, di presenza e autenticità. «Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze dovute anche alla pandemia, che ha originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita». 

«La cura attenta e premurosa è il segno di una vocazione riuscita. È la testimonianza di una vita toccata dall’amore di Dio». È questo tocco che rende fratelli e sorelle capaci di rapporti personali veri, in particolare con tutti quelli che hanno bisogno di affetto e di relazioni dove non manchino mai il calore umano e la comprensione. «Dio vede il cuore e in San Giuseppe ha riconosciuto un cuore di padre», «capace di dare e generare vita nella quotidianità».

La vita e il cuore di Giuseppe e di chi come lui ha incontrato il Signore e vive un rapporto di grande intimità con Lui si fanno allora spazio aperto, «casa di tutti», dove tutti hanno diritto a trovare posto. «Nella casa di Nazareth, dice un inno liturgico, c’era «una limpida gioia». Era la gioia quotidiana e trasparente della semplicità, la gioia che prova chi custodisce ciò che conta: la vicinanza fedele a Dio e al prossimo. Come sarebbe bello se la stessa atmosfera semplice e radiosa, sobria e speranzosa, permeasse i nostri seminari, i nostri istituti religiosi, le nostre case parrocchiali!».

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