Il conflitto inevitabile (Fratelli tutti 9)

Quello dei conflitti è un tema spinoso e scomodo. Tutti vorremmo evitarli; se parliamo di pace, a cui tutti aneliamo, l’associazione mentale immediata è «assenza di conflitto». Ma il conflitto, nelle sue manifestazioni personali e sociali, è una realtà che fa parte integrante della nostra vita. «Di fatto, in qualunque gruppo umano, ci sono lotte di potere più o meno sottili tra vari settori» (FT 236). Anche San Giovanni Paolo II disse che «la Chiesa non intende condannare ogni e qualsiasi forma di conflittualità sociale: la Chiesa sa bene che nella storia i conflitti di interessi tra diversi gruppi sociali insorgono inevitabilmente e che di fronte ad essi il cristiano deve spesso prender posizione con decisione e coerenza» (FT 240). 

È interessante notare che senza il conflitto non ci sarebbero né evoluzione né cambiamenti. Siamo chiamati a «sopportare il conflitto inevitabile, perché il rispetto umano non porti a venir meno alla fedeltà in ossequio a una presunta pace familiare o sociale» (FT 240). 

Il punto allora non è evitarlo, ma viverlo con modalità non distruttive verso sé stessi e gli altri. E a maggior ragione per noi che siamo cristiani, accostarlo al perdono e alla riconciliazione. «Non si tratta di proporre un perdono rinunciando ai propri diritti davanti a un potente corrotto […]. Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile» (FT 241). Perdonare non significa «cedere il proprio spazio perché altri dominino la situazione» e la riconciliazione non è «una cosa da deboli, che non sono capaci di un dialogo fino in fondo e perciò scelgono di sfuggire ai problemi nascondendo le ingiustizie: incapaci di affrontare i problemi, preferiscono una pace apparente» (FT 236). 

Probabilmente solo al cimitero c’è assenza di conflitto, proprio perché quello è un luogo in cui non c’è vita, dove si trova solo morte! Può capitare che anche il nostro stile relazionale ricordi più un cimitero che un luogo di fermento e di crescita, uno stile che «alimenta il fatalismo, l’inerzia o l’ingiustizia, oppure, dall’altro lato, l’intolleranza e la violenza» (FT 237).

Per evitare fastidi e rogne, si preferisce tacere, mettere la testa sotto la sabbia in attesa che i problemi si risolvano da soli. Non si ha la disponibilità ad incontrare faccia a faccia l’altro diverso da me, forse per paura di rovinare o rompere una relazione, forse per incapacità a sostenere il confronto e il dialogo, o forse per un desiderio inconscio di mantenere una sorta di potere sull’altro. Però, «quando i conflitti non si risolvono ma si nascondono o si seppelliscono nel passato, ci sono silenzi che possono significare il rendersi complici di gravi errori e peccati. Invece la vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente. La lotta tra diversi settori, quando si astenga dagli atti di inimicizia e dall’odio vicendevole, si trasforma a poco a poco in una onesta discussione, fondata nella ricerca della giustizia» (FT 244).

Non possiamo chiudere gli occhi sul male fatto o ricevuto, né «cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti» (FT 249); il male va chiamato col suo nome, la giustizia offesa non va lasciata nell’oblio, c’è una santa indignazione che ha animato tanti profeti e Gesù stesso da cui possiamo farci contagiare. Il perdono suppone la memoria della colpa e «non implica il dimenticare» (FT 250). Invece, «quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male» (FT 251).

Scriveva Adriana Zarri nel libro «Quasi una preghiera»:

Insegnaci, Signore, l’unità:

ma facci anche capire che l’unità di pluralismo è fatta anche talvolta di tensione e di lotta.

Non è un appiattimento e, tanto meno, un facile corteo che si accoda al trionfo dei vincenti.

Facci scoprire la necessità del contrasto, della lotta, dell’opposizione,

                                            là dove l’opposizione è necessaria.

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