Carità (e) politica (Fratelli tutti 8)

Non è scontato vedere accostate due parole – carità e politica – che spesso vengono considerate l’opposto una dell’altra. Nell’immaginario collettivo, la politica è vista come una cosa brutta e sporca, il luogo della corruzione imperante, del compromesso facile, della ricerca di privilegi e di potere, sovente per pochi. «Non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici» (FT 176) che portano a percepire questa attività solo come un insieme di «ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace» (FT 15).

Che c’entra allora la carità? Può davvero essere accostata alla politica? Di per sé, la politica è uno strumento, e come tutti gli strumenti può essere usato bene o male, per il proprio tornaconto o per il bene comune, per ottenere un interesse immediato o per «avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina» (FT 196). 

Papa Francesco sa bene che «un progetto con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità oggi suona come un delirio» (FT 16), sa che vengono messe in campo «strategie che mirano a indebolire la politica, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia», ma sa altrettanto bene che «il mondo non può funzionare senza politica, non può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica» (FT 176). Non teme di parlare di amore politico e sociale, di unire carità e politica, riportando l’arte di governare alla sua essenza originale, che è la ricerca di «strade efficaci di sviluppo per tutti» (FT 183) e la capacità di elaborare «progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune» (FT 15). Davanti al rischio di considerare queste cose come ideali irraggiungibili o illusioni poco concrete, il pontefice non esita a sottolineare che «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie […]. Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ancora una volta invito a rivalutare la politica, che è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (FT 180).

Il problema non è la politica in sé stessa. «Il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano» (FT 166). Francesco individua nella concupiscenza ciò che rende difficile e tormentata la fraternità, cioè «l’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini» (FT 166).

Ciò che serve per fare una buona politica sono certamente competenza, preparazione e abilità specifiche; non ci si improvvisa buoni politici, non si può stare nel mondo politico come dilettanti allo sbaraglio. Ma questo, per quanto indispensabile, non è ancora sufficiente. Per compiere un’opera politica efficace e duratura è necessario anche coltivare la consapevolezza di sé stessi, vigilare sulla propria «fragilità umana, sulla tendenza umana costante all’egoismo, che non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso dei secoli, utilizzando gli strumenti che il momento storico mette a sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio» (FT 166). Da che mondo è mondo i potenti cambiano, cambiano i governi e gli orientamenti politici. Ciò che non cambia è la sostanza, cioè il cuore delle persone. Se non si trasforma quello, è inutile chiedere rivoluzioni, saranno soltanto sanguinarie, come la storia anche attuale ci testimonia. La questione è trasformare noi stessi, convertire il cuore. Solo donne e uomini trasformati potranno incidere veramente nel mondo, anche in quello politico. Se è vero che chi trasforma se stesso trasforma il mondo intero, allora ogni nostro atto diventa sociale e politico. «Perché, dopo alcuni anni, riflettendo sul proprio passato, la domanda non sarà: “Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me?”. Le domande, forse dolorose, saranno: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?» (FT 197).

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