È ancora necessario annunciare il vangelo in presenza?

Ricevendo da una suora Figlia dell’Oratorio le seguenti riflessioni in margine al mese missionario, riflessioni che ben volentieri condividiamo con i lettori del blog, ci è tornata alla mente l’esperienza del diacono Filippo raccontata negli Atti degli Apostoli (At 8, 26-40). «…Filippo gli corse vicino e, sentendo che leggeva il profeta Isaia, gli disse: “Comprendi ciò che leggi?”. Quegli disse: “E come potrei, se nessuno mi fa da guida?”. Poi pregò Filippo di salire e di sedersi accanto a lui…». Oggi come ieri  per il cristiano che ha fatto l’esperienza dell’incontro con Cristo, condividerla  non è solo un dovere, ma un bisogno profondo.

Il Covid non sta bloccando le partenze di missionari laici, religiosi, fidei donum per la missione ad gentes.

Nell’era della comunicazione planetaria, è ancora necessario annunciare il vangelo in presenza? 

Che cosa fa la differenza?

Forse è stato fatto dell’annuncio del Vangelo un dovere, un compito, un mandato. Ci siamo preparati per la missione, studiato non solo la lingua e la cultura dei popoli presso i quali saremmo stati inviati ma anche i metodi di comunicazione, la teologia, la missiologia. Insomma tanta preparazione tecnica, quasi si trattasse di una spedizione di ingegneri del vangelo.

E quando arrivi in missione scopri che la gente vive già di fede, ha una etica ben radicata, delle regole di vita e sociali spesso migliori  di quelle della società da cui sei partito.

Tre bambini, in partenza per l’Africa con i loro genitori, alla domanda “E voi che cosa andate a fare?, hanno risposto: «Andiamo a giocare con i bambini del villaggio». Tutti i bambini del mondo sanno giocare! Non saranno sicuramente loro dei pionieri del gioco!

I missionari non sono dei banditori o dei seducenti maestri, semplicemente desiderano condividere l’incontro con il Vangelo e con Gesù, l’esperienza più bella fatta fino a quel momento, come per i bambini il gioco.

 Se una cosa è bella perché tenerla per sé, perché escludere qualcuno?

E per quanti di noi non partono per la missione ad gentes, l’interrogativo è lo stesso con una variante, non meno impegnativa: superare la timidezza o il rispetto umano che ci frenano perché non vogliamo invadere la sfera del vicino, del compaesano, del connazionale, magari pensando che non gli possa interessare il nostro annuncio.

 

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