I racconti della creazione (Laudato si’ – 2)

Il ruolo della fede giudaico-cristiana

nei problemi ambientali odierni

Un’analisi compiuta da Lynn White [1] ritiene che la fede giudaico-cristiana, che egli considera e definisce la più antropocentrica del mondo, sia l’entroterra  religioso, culturale e filosofico da cui derivano gli odierni problemi ambientali.

La visione antropologica della Bibbia, infatti, a suo parere, darebbe adito ad un dualismo tra uomo e natura, fondato sull’ordine dato da Dio all’uomo perché sfrutti la natura per i propri fini come è scritto in Gn 1,26-28.

Ma c’è di più, secondo White. Il cristianesimo, eliminando l’animismo pagano a favore del monoteismo, avrebbe desacralizzato la realtà naturale: espropriando da essa lo spirito guardiano e rendendola monopolio del solo spirito umano è come se ne avesse autorizzato lo sfruttamento fino a produrre, ai nostri giorni, lo sconvolgimento dell’ecosistema.

Infine, egli ritiene che la fiducia manifestata dal cristianesimo nel progresso, abbia legittimato scienza e tecnologia a rivestirsi di arroganza nei confronti della natura riducendola a «materia bruta» al servizio dell’uomo.

Se il cristianesimo non può negare in modo assoluto la sua corresponsabilità  riguardo ai problemi ambientali, l’accusa di White è semplicistica e insostenibile storicamente e nei fatti, in quanto l’attuale crisi ambientale è cominciata soprattutto con la rivoluzione industriale e con una concezione tecnico-scientifica della realtà che ha dato un potere illimitato all’uomo sulla natura.

Una rilettura nuova dei racconti della Creazione

Questa critica alla fede giudaico-cristiana ha permesso di reinterpretare in modo più illuminato i racconti della Creazione e di rileggerli in termini di responsabilità, gestione, co-creazione, utile dominio.

«In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1) rimanda all’idea che il mondo ha il fondamento originario in Dio: tutte le creature sono create con la «parola».

I verbi parlare, creare, benedire presenti nel racconto biblico della creazione, sottolineano la libera iniziativa di Dio e mostrano che tutte le opere create sono buone, e sono reciprocamente un dono le une per le altre. Questa bontà è una perfezione intrinseca: Dio consegna all’uomo un cosmo ordinato, una natura perfetta.

Nel «facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gn 1,26) è esplicita la decisione di Dio di creare l’uomo; la creazione è al suo apice, egli è il vertice e il centro del creato.

Facendolo a sua somiglianza, Dio gli permette di essere il suo rappresentante nei rapporti con il mondo. E quando Dio dice all’uomo di soggiogare la terra, di dominarla (Gn 1,28) di fatto gli sta affidando quanto ha creato, un dominio da non intendere in senso illimitato, arbitrario, arrogante, ma come suo delegato.

Dominare, in ebraico radah, infatti, ha il significato di pascolare, quindi l’uomo è il pastore e il custode del creato, cooperatore di Dio, suo incaricato. Egli ha, di fronte a Dio, la responsabilità di custodire ciò che gli è affidato in quanto il fine ultimo è la comunione eterna con Dio e il ritorno a Lui di tutte le cose create.

[1] Cf. L. White Jr., The Historic Roots of Our Ecological Crisis, «Science» 155 (1967).

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