La Pazienza

Taddea, scriveva don Vincenzo a Ledovina, «è generosa, intraprendente ma è originale!» Le lettere che gli inviava molto frequentemente, per la lunghezza e i dettagli, gli richiamavano gli «atti notarili». Ugualmente alle sue interminabili questioni rispondeva sempre, anche se con brevi note e soprattutto molto concrete.

In una delle numerose occasioni in cui la suora si rammaricava di essere impaziente – e doveva esserlo in forma molto accesa se lo condivideva con il Direttore! -questi le scriveva che «è più che naturale che tutti ci facciano esercitare la pazienza e soprattutto che non è sempre per colpa altrui ma anche nostra».

E continuava.

«Se la superiora – e si riferiva a Ledovina – dici che ti fa esercitare la pazienza, bisogna che ti esamini se la tua sottomissione è soprannaturale o naturale, se la tua ubbidienza ha tutte le qualità per essere cristiana o se è trista, sgarbata, brontolona.

Se, invece a farti esercitare la pazienza sono le tue collaboratrici, devi esaminarti se fai sentire con altezzosità la loro inferiorità, se le schiacci con una ramanzina pesante, con uno sguardo, se le pungi con freddezza.

Vi sono anche persone stupide, maleducate, importune, ma i loro limiti non ti autorizzano a trattarle con ruvidezze, inciviltà, scortesia e mancanza di rispetto».

E concludeva che le numerose e varie «occasioni di pazienza sono per te più utili che il digiuno, sono una pratica continua della presenza di Dio, un mezzo potente di distacco interiore».

Se la saggezza popolare dice che un albero di limoni non può dare fichi, possiamo concludere che Taddea non sarà mai diventata mansueta come un agnellino, sicuramente avrà imparato, sotto la guida spirituale di don Vincenzo e per la fiducia reciproca che alimentava la loro relazione, nel corso della sua lunga vita a dare qualcuno dei frutti che san Paolo elenca nelle sue lettere, quelli secondo lo Spirito.

Rispondi