Il Crocifisso e il Sacro Cuore

Don Vincenzo guardò il grande crocefisso al centro dell’altare e quindi la statua del Sacro Cuore che nel mese di giugno aveva collocato nel presbiterio, vicino alla balaustra, e che aveva ornata di drappi rossi, di ceri e di fiori che i devoti non facevano mancare freschi e profumati.

Nella sua contemplazione non riusciva a separare le due immagini. Il crocefisso, nella nudità del corpo percosso e inchiodato, spettacolo davvero atroce, raccontava la drammaticità, la violenza scatenatesi su di Lui e quella ferita di spada nel fianco, inutile, perché avevano visto che «era già morto» e quindi ancor più crudele. Poi il suo sguardo correva all’immagine del Sacro Cuore nella quale Gesù non mostrava più in modo cruento i segni della violenza, e dall’alto della sua maestosità si svelava il signore della vita, dello spazio e del tempo, e discoprendo leggermente la veste mostrava col dito il suo Cuore divino, come se fossimo soli Lui e noi.

Violenza e dolcezza: esposizione irrispettosa e irriguardosa, riservatezza e discrezione proprie di una scena di intimità.

Il contrasto almeno visivo e percettivo a don Vincenzo appariva netto. Che cosa invece li univa, si chiedeva, visto che si trattava della medesima persona, Gesù, e dei medesimi eventi? Il  cuore, infatti, si poteva intravvedere perché la ferita nel fianco, subita sul Calvario, la resurrezione non l’aveva chiusa.

Fece uno sforzo  e provò a mettere in sovrapposizione le due immagini: la croce gli appariva alleggerita del suo peso di morte ad opera della resurrezione, e i  suoi segni indelebili nella immagine  del Sacro Cuore diventavano  sorgente di vita.

Nel gesto di Gesù che indicava il proprio cuore don Vincenzo ebbe la conferma che nessuno, nemmeno il peccatore più avverso o distratto, è estraneo alla comunione dell’intimità divina. Una intimità che sta ben oltre la visibilità del cuore trafitto e che è ritrovabile solo dallo sguardo penetrante della fede che contempla.

Don Vincenzo si soffermò contemplante sul cuore di Gesù, lo vide svuotato fino in fondo dalla passione, ma rimasto aperto a significare la incondizionata fedeltà e la misericordiosa accoglienza di Dio.

La Chiesa intanto si era  riempita – si fa per dire – di un gruppetto di fedeli, convocati per i vespri solenni e il canto delle Litanie. Don Vincenzo entrò in sagrestia per indossare i paramenti e cercò di capire quale momento della celebrazione sarebbe stato il migliore per condividere con queste persone semplici ma “spirituali” la sua contemplazione. Era certo che la loro fede avrebbe percepito il nucleo del cuore di Gesù.

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