Il «fuoco» non comunicato si spegne

Il nostro è un tempo fortemente marcato dall’individualismo, dalla tendenza a camminare da soli per trovare la propria realizzazione, a prescindere dagli altri; un tempo in cui l’indipendenza è mitizzata e dove il «ciascuno per conto suo», o il «ciascuno in nome suo» è diventato uno stile.

Proprio per questo è «In comunità» l’ulteriore suggerimento che papa Francesco offre nella Gaudete et Exsultate per camminare verso la santità . «È molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati» (n. 140). Se non ci si muove insieme, non si va da nessuna parte. Non si può  camminare da soli, anche se è chiaro che ciascuno deve fare i suoi passi. Ma qualsiasi cammino, fatto fuori dalla comunione e dalla condivisione, non è evangelico e non può dare frutti di santità. «La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due» (n.141).

Già alcuni decenni fa, Karl Rahner, parlando della spiritualità della Chiesa del futuro (cioè della nostra chiesa attuale) la pensava nella comunione fraterna. Diceva: «Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire lungo questa strada».

Forse non è un caso che oggi si parli tanto di sinodalità e che si stiano muovendo passi significativi in questa direzione, proprio per dare spazio alla possibilità di trovare ciò che può fare di molti una cosa sola, nella condivisione di un progetto di vita e di servizio che ne valgano la pena e abbiano prospettiva di futuro. Lo stile sinodale, nel quale tutti sono coinvolti e collaborano, è sicuramente un punto di forza su cui far leva e da fare sempre più nostro.

Non si può continuare a credere che la santità sia una questione privata; occorre  strutturare cammini in cui la condivisione stia alla base, in cui si favorisca l’uscita dall’autoreferenzialità, in cui si formi una mentalità «altra» rispetto al passato, che ci aveva abituati a pensarci ciascuno per conto proprio, sia come persone singole che come categorie: i preti da una parte, i laici da un’altra e i religiosi da un’altra ancora. Siamo chiamati a rompere gli schemi che ci portano a essere separati, per unirci e conoscerci a fondo, per far diventare percorso ordinario il confronto tra noi e con tutta la Chiesa.

La Pentecoste non fu e non può essere un evento individuale. È un’esperienza dello Spirito fatta in comune. Anzi, in comunità.

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