«Nessuno può prenderci la vita perché l’abbiamo già donata»

La memoria dei santi Innocenti, che evoca un fatto narrato nel vangelo, oggi si attualizza nel martirio di uomini e donne, laici e consacrati che nel dono della loro vita continuano a dare testimonianza a Gesù.

L’8 dicembre scorso in Algeria sono stati beatificati 19 martiri: il vescovo di Oran, monsignor Clavèrie, 7 monaci, ed altri 11 religiosi e religiose martiri negli stessi anni, seppure meno conosciuti. La storia dei sette monaci di Tibhirine è forse la più atroce e la più conosciuta.

Ciascuno di questi martiri ha avuto un proprio personale cammino di fede; così diversi tra loro hanno vissuto una forma di convergenza comune nel dono definitivo sintetizzata nelle parole di una di essi «la vita è già donata». Tutti integrati da anni fra la gente algerina per testimoniare il loro amore gratuito – offrendo aiuto nelle forme più disparate e umili; volevano essere semplicemente cristiani fra i musulmani. Quando sono arrivati gli anni della tragedia sono rimasti fedeli a Cristo e al popolo. Non si possono, però, dimenticare  anche un centinaio di cosiddetti «permanenti» che, non aderendo all’invito a lasciare il paese, hanno accettato la possibilità del martirio, o almeno della morte violenta, e che sono ancora in vita.

Il papa nel suo Messaggio in questa occasione ha allargato lo sguardo anche su «tutti i figli e le figlie dell’Algeria che sono stati vittime della stessa violenza per aver vissuto, con fedeltà e rispetto per l’altro, i loro doveri di credenti e cittadini». Nello stesso periodo, infatti, a perdere la vita furono anche novantanove Imam e con loro molti giornalisti, scrittori e intellettuali, che si rifiutarono di giustificare la violenza in nome di Dio.

È la prima volta che dei martiri cristiani sono stati proclamati beati in un Paese musulmano: la scelta ha lo scopo di creare una nuova dinamica di incontro e di convivenza, proprio come risultato del sacrificio dei beati. Questo evento segna anche un passaggio importante perché «Le autorità hanno compreso il senso più vero della celebrazione: non esaltare i martiri e demonizzare i loro uccisori, ma  dare testimonianza che è possibile vivere insieme, camminare credenti a fianco di credenti, per cercare di far avanzare l’aspirazione a vivere insieme in pace».

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