La parola ai giovani consacrati

Nell’ambito del convegno, seguendo il metodo applicato anche nel Sinodo, i giovani consacrati hanno avuto lo spazio per comunicare che cosa chiedono alle loro comunità, che cosa possono offrire, le proprie resistenze e possibilità.

I giovani consacrati non chiedono nulla di nuovo, che a sua volta ogni consacrato, oggi adulto o anziano,  non abbia chiesto nei primi anni della vita consacrata nell’intento di promuoverla. Le richieste dei giovani non sono, quindi, un giudizio anche se evidenziano i punti deboli o le lacune della vita consacrata nella quale vivono, soprattutto in quegli istituti che hanno privilegiato la missione rispetto l’identità.

Chiedono comunità dove poter vivere la vita cristiana, comunità che manifestano il primato di Dio che coinvolge ogni dimensione della vita  delle persone.

I giovani consacrati chiedono  alla comunità di assumere uno stile sinodale, dove la voce di ogni persona è importante e ha un valore unico; chiedono di camminare «insieme», di coltivare una qualità sempre più evangelica dello stare insieme, di essere comunità umane e umanizzanti, nel senso più nobile della parola, poiché il Verbo si fece carne, di poter condividere le gioie e le sofferenze, i successi e i fallimenti, le opere apostoliche, le fatiche, i sogni, le paure, i beni spirituali e materiali, per tessere legami profondi e vivere liberi da rivalità che non fanno crescere, ma distruggono.

Consapevoli del possibile divario di età nella comunità, della molteplicità di esperienze e di provenienze, chiedono di non essere considerati ai margini, ma di esser sostenuti e stimati dai fratelli e dalle sorelle che hanno una storia più lunga della loro. Chiedono di  essere se stessi senza essere subito giudicati: la fiducia in loro e nei loro doni li aiuterà a trovare il loro posto all’interno della comunità e a crescere nell’appartenenza. È nel sentirsi accettati che i giovani consacrati potranno partecipare alla vita delle comunità e degli istituti con tutto se stessi, con i loro talenti, il loro tempo, la loro disponibilità, con la consapevolezza di essere portatori di novità, convinti, anzi, che, grazie a loro, le comunità diventeranno comunità del nostro tempo e non di altri tempi. Chiedono alle comunità di avere il coraggio di sognare, e sognare insieme! Perché sognare non è illusione o utopia, ma è speranza che si traduce in gioia per la vita, in disponibilità al servizio, in proposte di fede e di carità. Sognare, per non accontentarsi di ciò che finora è stato raggiunto, e per non pensare di essere a posto; perché sempre si può migliorare, andare oltre, perché Dio è il Dio sempre maggiore.

Di solito si attribuisce ai giovani di essere «sognatori», di non avere i piedi sulla terra. Sicuramente questo aspetto può essere visto come inconsistenza, mancanza di esperienza o perfino immaturità, ma, al contrario, il sogno dei giovani è soprattutto opportunità, motore, vita! E ci vorrebbe un pizzico di questa capacità di sognare in ogni stagione della vita!

Quali stimoli i giovani consacrati pensano di offrire alle comunità?

Consegnano alle comunità i loro sogni e chiedono di essere collaboratori della loro realizzazione e di lasciarsi ringiovanire e beneficare da essi, anziché lasciarli perdere o, peggio ancora, scartarli. Vogliono sollecitare le comunità a rischiare! I giovani consacrati, vogliono percorrere nuove vie di evangelizzazione e di servizio che portino vita alle stesse comunità e ad ogni uomo e donna che incontrano, che rivitalizzino i carismi perché non siano un qualcosa di statico, quasi intoccabile, ma vero dono dello Spirito vivificante, pena diventare comunità sterili. Non vogliono vivere per l’autopreservazione, ma per la vita della Chiesa e dell’umanità, per il Regno!

Confessano le loro resistenze a fidarsi della comunità, ad accettare i tradizionalismi quotidiani,  le usanze obsolete di cui si sentono quasi schiavi, non per volerle cambiare ad ogni costo ma perché vedono le cose da un altro punto di vista e… non sono ascoltati. Un’altra resistenza che avvertono è di fronte alle comunità in «fuga mundi», che vivono rassegnate al calo numerico e all’invecchiamento, senza gioia e senza zelo. Tali resistenze sanno che possono entrare in conflitto con l’obbedienza: non chiedono di imporre il proprio pensiero, ma di avere la possibilità di esprimersi per cercare insieme la volontà del Signore.

Che cosa offrono. I giovani sanno di portare alle comunità il vino nuovo della loro originalità e novità, dei loro sogni e dei loro ideali; tanta energia e zelo per ravvivare la vita degli istituti. Sanno di essere la speranza per un futuro del carisma. Diceva un anziano religioso ad un giovane confratello: «Che bello che ci sei… posso continuare a sperare che grazie a te continua la nostra missione».

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