Cuore aperto sul Sinodo (13)

Siamo ormai nell’ultima settimana di lavori dell’assemblea sinodale. Mentre si procede per la presentazione del progetto di documento finale, riprendiamo la testimonianza del giovane Claudio durante l’incontro in Aula Nervi qualche giorno fa.

«Sapete cosa si prova ad essere costretti a tenere la testa dentro al water mentre altri tirano lo sciacquone? Io sì. Alle elementari e alle medie ho subito ripetuti atti di bullismo, con violenze fisiche e psicologiche da parte di compagni coetanei e più grandi. Io ero solo e incapace di difendermi. Dentro di me cresceva anche tanta rabbia. Volevo chiedere aiuto ma non sapevo come fare. Mi sentivo debole. Brutto. Indegno d’amore.

A 18 anni ho cominciato a bere, a drogarmi, a conoscere l’ambiente della trasgressione. Sotto l’effetto dell’alcool o della droga, il bambino ferito dentro di me riusciva a gridare, a dire, anche se in modo distorto, ciò che pensava. In particolare, l’alcool era come un abbraccio, un calore “umano” che mi avvolgeva e scaldava, colmando il bisogno di affetto e tenerezza che sentivo.

Con il passare degli anni, il mio fisico non ha retto a quella vita, mi sono trasformato in una “larva umana”, nell’indifferenza di tutti. Ho fatto molte cose brutte. Sono arrivato a straziare il mio corpo e la mia anima per ottenere soldi. Era l’Inferno!

Però, proprio quando stavo per morire e perdere la speranza, l’incontro con un sacerdote ha acceso una nuova luce nel mio cuore. Mi sono detto: Claudio, vuoi vivere o morire? Scelsi la vita!! E decisi di entrare in comunità. La prima esperienza appena entrato è stata quella di un abbraccio senza giudizio.

Lì ho trovato una famiglia che non mi ha mai condannato per quello che avevo fatto e che mi è stata accanto nei momenti difficili, sostenuto nel cuore con la preghiera. Il cammino è stato doloroso. C’è stato bisogno di molto impegno e dedizione da parte di chi mi ha seguito. Ma eccomi qui!».

La gioia che nasce nel cuore ascoltando parole come quelle di Claudio è enorme, segno concreto che è possibile rinascere, che è possibile credere nella «resurrezione dei vivi». Ma questa gioia non deve spegnersi in se stessa, come un fuoco di paglia. Al contrario deve mettere in movimento corpo e anima per chiederci sempre: Claudio ce l’ha fatta, ma quanti come lui, che si trovano all’inferno, non hanno ancora incontrato un abbraccio incondizionato e senza giudizio? È possibile aiutare i giovani a non cadere in quel pozzo nero? Riusciremo ad accendere la luce nel cuore di ogni ragazzo prima che scenda negli inferi della disperazione?

Troppi giovani sono soli davanti alle loro zone oscure, davanti alla loro fragilità, da cui si sentono schiacciati e che guardano come un nemico. Quanti rifugi, quante «zone di confort» cercano per scappare dalla loro debolezza, quante maschere si costruiscono per tenerla nascosta quasi fosse un tabù, quanti idoli a cui si prostrano per potersi sentire dire almeno una volta: «Tu vali». C’è un lavoro enorme da fare per cambiare sguardo sulla fragilità, per aumentare nei giovani la consapevolezza di essere già ora dei capolavori agli occhi di Dio, e anche degli altri. Come suggerisce papa Francesco, «perché non rivoluzionare il mondo rieducando i ragazzi all’ascolto di se stessi, delle proprie fragilità, della loro parte più debole per evitare di scaraventare la rabbia su coloro che sono deboli, poveri, fragili come loro?». Se c’è un’arte per imparare ad amare, dovremmo iniziare ad imparare l’arte di accettarci fragili. La fragilità è quasi sempre l’ora di Dio! E che ogni uomo e ogni donna discepolo del Signore Gesù possa essere nella sua piccola o grande realtà quell’abbraccio senza giudizio e senza condanna, ma carico di amore e di compassione, che ha salvato la vita di Claudio.

Qui in diretta  la testimonianza di Claudio

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