Dal Vangelo alle Relazioni (2)

Don Vincenzo e i suoi parrocchiani

I fedeli

Per ciascuno dei suoi parrocchiani sentiva  la responsabilità di averli ricevuti da Dio stesso, e la gioia di poterli accogliere nella  sua paternità spirituale; aveva parole e gesti che consentivano  ad ognuno di sentirsi generato, conosciuto e amato da lui. La sua presenza in parrocchia non era solo fisica e legale; nel ministero metteva tutto se stesso, nella preghiera come nel tratto affabile,nella disponibilità come nelle iniziative. Non si preoccupava dell’approvazione o della gratificazione, pur apprezzandole; il referente era Dio, conoscerlo e farlo conoscere, amarlo e farlo amare. Organizzava ogni cosa, come se tutto dipendesse da lui e la chiesa si dovesse riempire di fedeli; e quando la delusione per l’assenza di molti lo amareggiava profondamente, non tuonava coi pochi che avevano partecipato, ma concludeva pregando con la fiducia che Dio avrebbe portato a compimento l’opera iniziata e lo avrebbe fatto con le proprie strategie, sicuramente più efficaci di quelle di un povero parroco.

Gli ostili avversari

Dove c’è un gregge si aggirano anche i lupi, a volte in veste di agnelli. La semplicità con cui don  Vincenzo si poneva nei confronti delle persone a qualcuno poteva sembrare ingenuità, per cui nel tentativo di approfittarne, ci fu chi gli fece del male, cercando di entrare in casa non solo per rubare frutta o altri viveri, ma direttamente nella sua camera dove stava dormendo. Uno dei visitatori notturni fu il sagrestano! Don Vincenzo pur avendogli mostrato di possedere un’arma, lasciò andare liberi, lui e i suoi complici, accompagnati non da una schioppettata almeno intimidatoria, ma da una viva esortazione a rispettare il comandamento di Dio, sia in casa del prete che altrove. Gli stava a cuore la loro conversione piuttosto che venissero puniti per il loro operato, perché Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva… da giusto. Provò la stessa amarezza quando per una riorganizzazione dei locali adiacenti la chiesa, i fabbricieri si dissociarono non solo dall’iniziativa ma anche dal proseguire nella collaborazione. 

Nella preoccupazione di spiegare il suo operato, don Vincenzo voleva che comprendessero che non era nelle sue intenzioni emarginarli, ma semplicemente riteneva urgente dare la preminenza ai fanciulli e ai giovani e rimase disponibile e fiducioso in attesa di un ritorno alla collaborazione. Non  voleva in ogni modo tener conto del male ricevuto.

Se il godere dell’ingiustizia è il massimo dei mali che una persona può compiere, è abbastanza comune, invece, la pratica a continuare ad essere felici e soddisfatti nonostante le ingiustizie di cui si è spettatori. Don Vincenzo alla vista dello sciancato venuto alla sua porta con due scarpacce che definirle sgangherate era ancora poco, non ebbe dubbi nel procurargliene delle migliori a scapito personale. E come poteva stare tranquillo sapendo di un padre di famiglia senza lavoro e sostentamento per la propria casa? Ci mise di tasca sua non una volta ma tutte le volte  che ce ne sarebbe stato bisogno. E tutti quei «giramondo» che sopravvivevano passando di casa in casa e ricevendo con il pane e un bicchiere di vino insieme ad un saluto ed un sorriso ai quali Don Vincenzo, quando si trovava, aggiungeva una benedizione e una raccomandazione?

Gesti naturali in un mondo contadino dove la condivisione era la prima regola sociale, ma era anche una porta aperta per poter ricevere, qualora Dio lo avesse deciso, la visita di angeli suoi inviati, o la condizione per entrare… benedetti nel Regno. Erano soprattutto piccole iniziative che giorno dopo giorno riscattavano quel sacerdote, ben più famoso di don Vincenzo, che scendendo lungo la strada da Gerusalemme a Gerico aveva visto un uomo in difficoltà ed era passato oltre.

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