«Va’ dove io ti indicherò»: il discernimento (1)

Don Vincenzo è stato unanimemente e positivamente descritto come una persona sempre uguale a se stesso e inalterabile. Tanta imperturbabilità, però, può indurre a ritenerlo un prete senza emozioni, inscalfibile, soprattutto senza paure e dubbi. Sicuramente l’ascesi gli ha consentito di tenere sotto controllo ogni manifestazione dei suoi pregi come delle sue passioni.

Tutto questo, però, non lo ha preservato dalla fatica di dover fare i conti con gli imprevisti delle circostanze, delle persone e anche di Dio e dalla necessità di doverli affrontare con discernimento non per superare l’indecisione e raggiungere la sicurezza, ma per trovare la giusta misura in ogni situazione, la sintonia con Dio.

«Va’ dove io ti indicherò!»

Sono sempre state le uniche coordinate che Dio ha consegnato ai patriarchi quando affidava una promessa o una missione. Da parte loro erano guidati dalla fiducia che Dio non li avrebbe messi in difficoltà, insieme alla perspicacia di riuscire a scorgere negli incontri, anche fortuiti, e nei luoghi imprevedibili le indicazioni per proseguire.

Don Vincenzo incominciò a preparare l’idea della fondazione con molta ponderazione e molta calma, senza fretta e precipitazione. Inizialmente gli sembrò che l’iniziativa di alcune donne che si dedicavano alla parrocchia e alla educazione cristiana delle giovani, iniziativa che assecondò e appoggiò, potesse essere la scintilla originaria di qualcosa di nuovo a cui stava pensando; ma senza volerlo si originò l’equivoco che, quando le comunità incominciarono a moltiplicarsi, una tra le prime religiose, che si era dedicata a questo progetto, si considerò la fondatrice relegando don Vincenzo a figura di secondo piano.

Per don Vincenzo non fu semplice iniziare e portare avanti la fondazione. Il progetto richiedeva  principalmente di essere in sintonia con Dio per conoscere i percorsi da seguire, i tempi per intervenire e le tappe intermedie da raggiungere. Una cosa era certa. Dio avrebbe dato le indicazioni, anche se solamente quando sarebbero state necessarie. Da parte sua doveva mettere in campo grande disponibilità al discernimento.

Si affidò ai consigli di suo fratello e di  un tale don Arisi di Cremona, i quali, grazie alle loro autorevoli relazioni in curia, potevano indirizzarlo a muoversi nel rispetto delle norme canoniche, e lo appoggiarono nella novità  a cui stava per dare vita anche con suggerimenti pratici.

Gli fu amicissimo ed illuminato consigliere don Pietro Trabattoni di Maleo. Questi, pur essendo totalmente dedito alla questione sociale dei contadini, non coinvolse don Vincenzo nella sua sensibilità, ma lo sostenne su quella pastorale. Gli offrì gli spazi nella parrocchia per le periodiche riunioni delle nuove religiose; gli mise a disposizione  la  sua canonica per fermarsi quando, da Vicobellignano, passava a visitare le piccole comunità dei dintorni e del lodigiano; gli dedicò lunghe serate per ascoltarlo e perché potesse condividere senza timore, progetti e incertezze. Don Vincenzo era grato a don Pietro per questa incondizionata disponibilità. In essa sperimentava non solo gli effetti di una antica amicizia, ma anche la conferma dall’Alto che parlava il linguaggio della fraternità sacerdotale.

Gli inizi della fondazione furono accompagnati dalla presenza di un barnabita, padre Luigi Zoja, di Lodi. Confessore e per un certo periodo guida spirituale di Ledovina Scaglioni e delle altre prime suore presenti a Lodi per studio. Il barnabita si appassionò al nuovo progetto e mentre curava la vita spirituale di queste giovani, coltivò i contatti con don Vincenzo aprendogli alcune strade. Don Vincenzo considerò molto rilevante questa vicinanza come quella di altri padri barnabiti che stimavano la fondazione.

Ebbe sempre un atteggiamento di apprezzamento per queste presenze amiche che lo sostenevano, le teneva in considerazione perché lo aiutavano a capire dove era lento, dove era imprudente e dove invece doveva spiccare il volo, senza timore. Soprattutto erano «i segnali di Dio».

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