Servizio «acca24» o… sfruttamento?

Il post pubblicato su «La Chiesa tinta di «rosa»…» ha suscitato le prime reazioni… Una in particolare, per il suo contenuto, ci pare meriti una condivisione più ampia, per cui la riportiamo integralmente come nuovo post.

Risultati immagini per separatori gif

I media, in genere, di fronte a questioni culturali di rilievo e con una certa criticità, nell’intento di indicare la luna, di fatto attirano l’attenzione sul dito che la indica.

Fuori metafora. La notizia vera in margine all’articolo «Il lavoro (quasi) gratuito delle suore» di Marie-Lucile Kubacki non dovrebbe essere che le suore sono un bacino in cui attingere, scandalosamente, manodopera gratuita o quasi, ma che siano ancora considerate «cap’ e pezz’» (capa di pezza – testa di stoffa, definizione di suora in dialetto napoletano a motivo del velo che portano), cioè in poco conto.

Stiamo assistendo, però, a una novità: mentre fino a qualche decennio fa la nostra disponibilità, acca24 (h24) come si dice in gergo, era un prestigio per i fortunati che ne potevano usufruire, oggi è considerato una violazione dei diritti, una forma di sfruttamento. E questa nuova lettura di un fenomeno che ha radici profonde nel passato, diventa, o per effetto boomerang o volutamente, una lancia indirettamente spezzata a favore della promozione della donna, anche nella chiesa.

Il maschilismo ecclesiale non scomparirà perché gli uomini batteranno in ritirata, nel qual caso sarebbe una sconfitta, o perché le donne imporranno la loro supremazia, ma perché la realtà femminile con le sue prerogative evidenzierà «sul campo» il principio della creazione dell’uomo che  «non è bene che sia solo», dove «bene» è da considerare equivalente a: giusto, bello, utile, buono…

Pertanto, se da una parte occorre puntare il dito contro una richiesta che prevarica, una trascuratezza che umilia, dall’altra occorre evitare ogni accondiscendimento delle suore, sia personale che istituzionale, nel quale si mescolano pericolosamente disponibilità e gratificazione, collaborazione e opportunismo. 

I servizi richiesti e mal pagati, la presa in carico di responsabilità mai riconosciute, e altri aspetti davvero poco esemplari che la testimonianza di Marie-Lucile Kubacki  evidenzia, sono sicuramente espressioni del persistere di una mentalità maschilista nei confronti delle suore, ma sono in parte anche a carico di chi si lascia «usare» e di chi lo consente.

Noi non possiamo «cambiare la testa» agli uomini, ma possiamo cambiare il nostro modo di relazionarci con loro. Per noi, Figlie dell’Oratorio, è stato tracciato, in riferimento a questo tema, un itinerario fin dalle origini, dove dall’iniziale «essere sottomesse in tutto ai parroci» delle Costituzioni del 1901, si è passati, nelle Costituzioni del 1915, ad essere «umili cooperatrici dei parroci» e nelle Costituzioni del 1989 si parla semplicemente e non semplicisticamente di «collaborazione con i parroci». L’essere «utili» in parrocchia non si esaurisce nei servizi svolti, ma si esprime, pienamente e veramente, quando si diventa complementari.

Rispondi