Pietà positiva e pratica

Don Vincenzo arrivò e le suore erano già tutte riunite, chiacchieravano animatamente: le aveva sentite appena aveva imboccato il vialetto che dalla strada conduceva alla casa. La sua presenza non le ammutolì ma si strinsero intorno a lui mentre sorseggiava un po’ di brodo caldo. Non c’erano formalità tra loro e questo a don Vincenzo piaceva perché rispettava la semplicità e la genuinità delle loro origini, qualità che dovevano diventare anche le caratteristiche del loro tratto nell’apostolato e dello stile di vita comunitaria. Don Vincenzo si inserì nei loro racconti chiedendo se si trovavano in qualche ristrettezza economica, soprattutto riguardo le attività apostoliche, come erano le relazioni nelle piccole comunità, e in particolare come stavano vivendo «la vita di pietà».

Con quest’ultima domanda voleva introdursi nell’argomento che aveva preparato per la riflessione di quel giorno. Si era scritto alcune note e dopo aver calmato il loro desiderio inesauribile di raccontarsi, le raccolse in preghiera con una invocazione alla Vergine e le intrattenne sul tema: «La vera pietà deve essere positiva e pratica».

Iniziò con l’intonazione della voce come se fosse stato sul pulpito: «Nella pietà noi dobbiamo schivare le sottigliezze di una vana metafisica… non dobbiamo vivere due idee teoriche». Dovette spendere più di due parole per chiarire il significato di quella affermazione! Quando aggiunse che «non ci dobbiamo accontentare di una religione vana e poetica, seducente sì, ma pure vuota» ebbe la percezione che questo secondo concetto avesse illuminato il primo.

Si alzò in piedi quasi per dare un senso di solennità a quello che stava per dire e pronunciò chiaramente queste parole: «Nella vera pietà tutto deve essere pratico. Le dottrine più elevate, se sono vere, sono sempre pratiche, poiché Nostro Signore non rischiara la nostra mente, se non per arrivare al nostro cuore e per santificare tutti i particolari della nostra vita».

Sapeva che tra le sue uditrici alcune avevano la fama di essere devote e pie, ma anche un po’ campate per aria, e quando dovevano tirare le conseguenze dei loro principi, la pietà era come neve al sole, inconsistente, perché fatta solo di parole.

Don Vincenzo offrì alle presenti alcuni criteri per riconoscere se la loro pietà era positiva o teorica. Specificò che le persone «teoriche» … «vigilano poco sul loro cuore, nutrono ed accarezzano piccole passioni, restano troppo attaccate alle cose di quaggiù, fuggono la mortificazione dei sensi; mortificano poco la lingua ed ascoltano le maldicenze con piacere, non si fanno scrupolo di dire falsità leggere, non hanno il coraggio di privarsi di un lecito piacere, non fuggono certe compagnie non cattive, ma che una persona pia non dovrebbe avere».

Si preoccupò di rassicurare la suora che aveva commentato a mezza voce le sue parole dicendo che chi più chi meno, poco o tanto, tutte cadevano in questi errori… per cui la loro pietà di che tipo era?

Cercò allora di far capire a tutte le presenti che la vera debolezza non è commettere degli errori, ma il voler giustificarli o minimizzarli è pietà teorica mentre riconoscerli e consegnarli al perdono divino per trovare la forza di ricominciare è pietà pratica.

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