L’avvio…

Le mie prime collaboratrici non erano giovanissime, ma donne adulte che avevano già fatto la scelta di non farsi una famiglia. Per questo non fu difficile trovare in loro disponibilità e sensibilità di fronte al progetto in cui desideravo coinvolgerle. Anzi, ogni volta che le incontravo, capivo la loro sete di approfondire la vita spirituale e di consacrazione, anche se privata, e il desiderio di scoprire in che modo poter svolgere un apostolato nuovo in parrocchia e non solo  svolgere delle attività che riempissero i pomeriggi delle domeniche. Più le conoscevo, meglio potevo dare ad ognuna, secondo la propria indole, i suggerimenti necessari per la mansione che svolgevano a favore delle ragazze; le incoraggiavo a non temere le fatiche e anche i sacrifici. Soprattutto le animavo alla gioia, a sostenersi reciprocamente ad amare Dio, e a vivere nella semplicità e nella povertà. Raccomandavo che non dovevano distinguersi per le forme esterne e, in particolare che frequentassero come unica chiesa quella parrocchiale, come tutti i fedeli. Non erano ancora i tempi che si potesse cogliere anche solo la parvenza di una nuova fondazione: io non avevo le idee chiare e non volevo che nei miei confratelli nascessero interrogativi a cui non potevo dare risposte certe e sicure. Pertanto: per il popolo, in mezzo al popolo! La differenza doveva essere nel cuore!

Nei primi tempi di vita in comune a volte venivano alla luce anche difetti personali a causa dei quali nascevano tensioni. Il mio intervento in questi casi richiedeva mano ferma in guanto di velluto, perché non si trattava di novizie ai primi passi, ma di donne che, forse in alcuni casi, facevano sentire alle altre il peso della loro superiorità magari solo economica, in quanto proprietarie della casa in cui abitavano insieme. Anche queste situazioni diventavano per me occasioni per capire in quale direzione e su quali argomenti approfondire la  loro formazione.

Tutto questo lo svolgevo contemporaneamente al ministero. La vita della parrocchia con la sua ordinarietà e i suoi bisogni reali illuminava il progetto per cui non li vivevo come due fronti diversi su cui operare ma come un’unica missione da svolgere, anche se con modalità differenti. Poi un giorno mi arrivò la lettera del Vescovo, quella che i posteri considerano il massimo elogio al mio sacerdozio: dentro di me per un momento ebbe lo stesso effetto di un sasso su una lampada di vetro. Frantumi!

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