Intervista a suor Anna Tacchinardi

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Il carisma delle figlie dell’Oratorio nel corso degli anni si è concretizzato in diversi contesti locali e in alcune comunità ha assunto la forma  della istruzione nella scuola primaria. Qui appunto suor Anna Tacchinardi ha svolto il suo servizio qualificato come educatrice, consacrata e figlia dell’Oratorio. In una intervista, rilasciata a IL CITTADINO di Lodi, è lei stessa che racconta della sua lunga missione a favore di numerosissime generazioni di fanciulli. Ne stralciamo alcuni passaggi che meglio interpretano la finalità di questo blog:  far conoscere san Vincenzo Grossi e il Carisma dell’Istituto da Lui fondato.
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Da: Il Cittadino del 3 novembre 2016

Ha avuto una vita intensa suor Anna Tacchinardi, consacrata dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio, con il merito di guardare sempre con serenità alle vicende più cruciali della propria esistenza. Per le suore “Tondini” di Codogno, questi sono giorni dedicati ad una ricorrenza speciale, 115 anni dall’inaugurazione della Casa per le giovani in difficoltà. Si trattava di una donazione, accolta da don Vincenzo Grossi, di recente proclamato santo, con lo scopo preciso di aiutare la gioventù nella formazione e nella istruzione.  «Il mio Istituto – spiega suor Anna – ha sempre avuto un’attenzione speciale per la gioventù. Da alcuni anni svolgo il servizio di portineria nella nostra scuola: cerco di accogliere sempre con un sorriso, perché non si deve mai smettere di interessarsi al prossimo».

vittorio-emanuele-1950È in quegli anni (nel  1948 suor Anna aveva intrapreso una esperienza lavorativa a Milano – ndr) che matura la vocazione religiosa?

«Sì. Ma sa qual era il paradosso? Io non avevo mai pensato di farmi suora. Una volta però accadde che mamma Elena ci obbligò a frequentare gli esercizi spirituali. Non volevo assolutamente andare, anche perché avevo prenotato un periodo di ferie sul lago d’Iseo».

Non poteva opporsi?

«Ci provai, ma fui costretta a rinunciare alle vacanze. Quel giorno nello sbattere la porta dissi, per dispetto, che a quel punto tanto valeva farsi suora. Era stato un modo di dire, e invece divenne un destino».

Cosa accadde in particolare?

«Agli esercizi, trovammo un predicatore bravo, don Alessandro Parazzini. Ascoltammo le sue riflessioni, volte a suscitare nuove vocazioni. Poi lui cominciò le confessioni, che si protrassero sino alla mezzanotte. Forse eravamo suggestionate, ma chiunque andava al confessionale diceva: sento di farmi suora! E lui dissuadeva tutte: aspetta, meglio che ti crei una famiglia, non è il momento…».

Fu così anche per lei?

«Anche io andai lì e gli dissi: sento di farmi suora. E lui: sì, tu hai una sincera vocazione nel tuo cuore! Mi ritrovai suora, e non ne ho mai compreso sino in fondo le ragioni. Ma sono stata felice e serena».

Cosa le venne a mancare maggiormente di quello che era stato sino ad allora il suo mondo?

«Il lavoro e Milano. Fu un cambio di vita radicale! Imparai a vivere in spirito di assoluta umiltà. Nel percorso vocazionale trovai la prima sorpresa: dovevo riprendere a studiare! Avevo fatto soltanto le scuole di avviamento, quindi, visto che la mia congregazione aveva come carisma anche quello di offrire alle giovani l’istruzione scolastica, tornare ad impegnarmi sui libri fu una conseguenza inevitabile».

Fu faticoso?

«Nel 1955, a Roma, ripresi le classi medie, in tre mesi preparai tre anni, ero stravolta».

preghiera-a-scuolaE dopo le medie?

«Le magistrali, frequentando corsi accelerati, o “scellerati” come li chiamavo io. Dovevo attraversare tutta la città, arrivavo a scuola stanca: feci quattro corsi di studio in due anni. La sera prima degli esami finali entrai in chiesa e pregai il Signore: se mi ami, fai in modo che sia data una traccia su Pascoli, che io amavo molto. Uscì un tema su Pascoli…».

romasparita_ld1897Conseguito il diploma?

«Ho fatto la maestra per 15 anni a Roma, ed è stato un periodo straordinario; insegnavo ai bambini delle famiglie baraccate, all’Acquedotto Felice, nella zona di Porta Furba, un angolo, allora, della estrema periferia della città . Avevo in aula 42 bambini. La domenica portavo i fanciulli romani a visitare… Roma».

Parla con commozione di quel periodo…

«Dopo avere fatto i compiti, alla sera i miei scolari provavano a propria volta ad insegnare ai loro genitori, che erano tutti analfabeti. C’era miseria, ma si guardava al futuro. Si faceva comunità. La povertà oggi è diversa: è anche l’espressione di un’aridità spirituale, che porta alla chiusura, all’egoismo. È un problema legato all’assenza di formazione».

Dopo Roma, dove è andata?Codogno

«In provincia di Modena, presso un orfanotrofio. Quindi mi richiamarono nel Lodigiano, dove ho fatto l’insegnante: un anno a Codogno, quattordici a Lodi. Nel 1977 sono definitivamente tornata a Codogno; ho avuto infinite generazioni di bambini».

Da esperta: sono cambiati i bambini?

«No, no; al contrario, sono cambiati i genitori: oggi guai a dare una punizione ad un bambino. Papà e mamma li difendono a spada tratta, mentre una volta erano i primi a sollecitarci i castighi, affinché i loro pargoli imparassero l’educazione».

Che giudizio dà del Novecento, suor Anna?

«Positivo, perché ha promosso il benessere. Tuttavia questo è poi sfociato in una forma di avidità,che ha allontanato dalla vita spirituale; allora, ho cominciato a pensare a questo periodo con diffidenza».

Ha mai sofferto delle limitazione imposte dall’abito consacrato?

«Le dirò: ho vissuto il mio apostolato non sentendomi mai obbligata o costretta,malgrado il voto di obbedienza. E ho sempre costruito relazioni umane e profonde, libere. Ricordo quando tra consorelle occorreva darsi del lei, adesso almeno siamo passati ad un livello più spontaneo e sereno di confidenza, e ci si da del tu. Ci voleva poi tanto?».

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