Il mio Vescovo, Mons. Geremia (2)

Non passarono molti anni e mi giunse una lettera personale da Cremona. Normalmente la corrispondenza con la Curia la sbrigava il Cancelliere o il segretario, ma non era la loro calligrafia. Era  quella del Vescovo.In un attimo feci un velocissimo esame di coscienza: in che cosa non avevo compiuto il mio dovere? Si sa nessuno è perfetto. Però non mi sembrava di avere inadempienze di cui potevo essere cosciente.

Lettera BonomelliAprii la busta, la lettera era manoscritta e feci  fatica a decifrare la calligrafia. Il tono era confidenziale perché Mons Bonomelli mi metteva  a parte di una questione pastorale della Diocesi coinvolgendomi in essa.  Mi fecero arrossire le sue parole con le quali scriveva che «ravvisava in me» tutte le qualità che considerava necessarie per essere parroco  nel casalasco o nel basso mantovano. Di nuovo  mi ripeté che contava su di me per trasformare, «in meno di dieci anni», precisamente la parrocchia di Vicobellignano.  Dentro di me insieme a un certo compiacimento avvertii anche un istinto a rifiutare, nel senso che non avrei concorso come parroco per «quelle terre». Ma il Vescovo che prevedeva questa mossa, scavalcò l’iter burocratico e mi «ordinò» di andare in quella parrocchia «in nomine Domini». Non aveva dubbi che la mia risposta sarebbe stata positiva. E così fu.

Negli anni successivi mi avvicinai al Vescovo anche a motivo della associazione religiosa di donne a cui stavo per dar vita. Non che lo avessi cercato io, fui costretto invece a parlarne con lui quando ancora non erano chiare le linee organizzative. Purtroppo questa mia iniziativa aveva portato qualche confratello a «denunciarmi» presso il Vescovo. In quegli anni, l’ultima decade del 1800, anche Mons. Bonomelli era impegnato ad avviare un’Opera di assistenza per gli emigranti e non temevo un suo divieto a proseguire. Però non andò tutto liscio. Ebbi da lui un richiamo per l’uso improprio delle Regole di sant’Angela Merici, in seguito al quale, dopo aver ritirato dalle comunità il testo adattato delle Regole in questione, mi sottomisi alle sue disposizioni sulla scia del suo esempio, che richiamato da Roma per una sua pubblicazione ritrasse pubblicamente  il suo scritto e dichiarò  la sua «piena» sottomissione al papa Leone XIII.

costituzioni 1901Non passò molto tempo e fu ancora Lui a cercarmi perché gli consegnassi il nuovo testo delle Regole e, se anche dovetti aspettare un po’ tempo, durante il quale la mia fiducia in una sua positiva considerazione ebbe degli alti e dei bassi, finalmente ricevetti il suo benestare. Di più, raccomandò  ai parroci di avvalersi senza timore di questa nuova fondazione a favore delle parrocchie. Era fuori dubbio che apprezzava la mia iniziativa  anche perché mi propose di aprire il Noviziato a Cremona. In quella occasione feci orecchie da mercante alle sue parole: lui sì mi avrebbe appoggiato, ero certo della sua sensibilità, ma sapevo che c’erano dei sacerdoti che non avevano le medesime disposizioni.

A volte i miei confratelli mi provocavano riguardo il Vescovo, attribuendo alla nostra relazione un non so che di conflittuale. Personalmente non percepivo alcuna tensione tra noi due: sapevo del suo carattere schietto, per cui accettavo, senza sentirmi offeso, che commentasse di me che ero «un buon prete ma originale e un po’ troppo campagnolo». Era vero che ero un po’ trascurato negli abiti, ma non lo era da meno, lui il Vescovo, che pur potendo concedersi un abbigliamento migliore del mio, sembrava non lo facesse. Che io fossi originale forse lo attribuiva al fatto che non mi sono mai voluto pronunciare in merito ai vertici della Chiesa e dello Stato. Non mi consideravo sufficientemente  addentro a fatti e  questioni per sostenere un confronto con lui anche solo per un commento. Quando voleva portarmi su questi temi, io abilmente cercavo di cambiare argomento, anche a costo di cadere nel ridicolo, cartes-monde come capitò quella volta in cui, un po’ maldestramente da argomenti scottanti volli portare la sua attenzione su una carta geografica appesa alla parete del suo studio.

Il Vescovo registrava regolarmente i verbali delle visite pastorali in modo sintetico e preciso, così pure  aveva dei quaderni dove appuntava, come dei promemoria, delle note personali riguardo persone e parrocchie. Mi fu riferito che riguardo il mio ministero e la mia persona ebbe sempre parole di rispetto, di apprezzamento e compiacimento. Da parte mia ho cercato di corrispondere a questa fiducia e benevolenza con una obbedienza  responsabile, come parroco e come fondatore, impegnando tutte le mie energie umane e spirituali a compiere  il mandato ricevuto  dal Vescovo e da Dio, con fedeltà filiale.

Quando morì nel 1914 potemmo incominciare a parlare di lui come di un anticipatore dei tempi, come uno dei pochi «uomini di grandezza insopportabile per i nostri tempi imbecilli e … che non si fermò a vedere passare le trasformazioni del suo tempo in cui visse, ma salì arditamente sul convoglio» come scrisse di lui il mio confratello don Primo Mazzolari.

Per 43 anni un uomo di questo calibro umano e spirituale era stato il mio Vescovo.

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