Consolare chi è triste

misericordia1San Vincenzo Grossi, vivendo a stretto contatto con le famiglie, sia per motivi pastorali che per la gestione delle prebende, concludeva che di afflitti è pieno il mondo. Quali erano le cause che, secondo lui, procuravano maggiormente tristezza, angoscia e afflizione? Egli riteneva che in primo luogo fossero le infermità lunghe e le morti premature, seguivano le ristrettezze economiche, aggravate da eventi naturali o sociali avversi.

Nella confessione e nelle visite alle famiglie era chiamato ad affrontare anche afflizioni spirituali e morali. Per i deboli ogni difficoltà poteva essere un gran pericolo, perché, attribuendone a Dio la paternità, spesso si allontanavano dalla fede oppure si concedevano trasgressioni contro la morale. Don Vincenzo sentiva la responsabilità di «consolare i tribolati», soprattutto per tenerli lontani dai pericoli della sfiducia in Dio e del ripiegamento su se stessi. piangereNel consolare, il suo carattere, di solito «rude nella scorza, per nulla tenero e poco espansivo», lasciava il posto alla delicatezza e, con tanta premura, egli si faceva presente nelle situazioni di dolore e di difficoltà, trasmettendo soprattutto speranza alle famiglie che si trovavano nella prova. Non si accomiatava da questi poveri limitandosi ad esortarli a confidare in Dio, ma riteneva, come obbligo di coscienza, di doversi adoperare per difenderli nelle ingiustizie subite e soccorrerli nelle avversità in cui erano caduti. Mantenne la stessa attitudine verso le persone debilitate da lunghe malattie a volte incurabili. Si rendeva conto che, come gli amici di Giobbe, frequentemente i parenti dei malati dimostravano insofferenza per il disturbo che portava il lungo decorso della malattia. Don Vincenzo si avvicinava più frequentemente a queste situazioni richiamando, con le sue visite, l’attenzione dei parenti sul malato. Nei malati più gravi rianimava «la speranza nella beatitudine del paradiso», e per gli altri, e in genere per i familiari, il suo intento era di «riportarli alla fede e alla pratica della virtù».

Ad una suora, che si sentiva inadeguata al compito affidatole e temeva di non riuscire a soddisfare quanto le esigevano i suoi doveri, consolareDon Vincenzo più volte scrisse, cercando di rassicurarla e dicendole che avrebbe chiesto per lei al Signore «profonda pace e ogni impedimento al suo amore». E la invitava a tenere lontana la malinconia e lo scoraggiamento, ad essere allegra e contenta e, soprattutto, ad avere una confidenza senza limiti nel Signore.

La consolazione per don Vincenzo passava attraverso la prossimità, si faceva «presenza accanto» a chi era nella desolazione e nella solitudine e indicava Dio.

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  1. Essere prossimi: accorgersi dell’altro è possibile a chi ha un cuore libero, non attaccato e preoccupato eccessivamente di se stesso…
    Perché sicura che la sua vita è un buone mani, posso avere la capacità di guardare al di là del mio naso…. posso davvero farmi vicina, posso sul serio consolare.