Gli scritti di don Vincenzo – Terza parte

In questa terza parte vogliamo mettere a punto gli orientamenti ispiratori degli scritti di don Vincenzo.

Il prof. don Carlo Bellò, suo biografo, nel libro “L’umile pieve di don Vincenzo Grossi” (edito Queriniana, Brescia 1979) ce ne ha offerto per primo una rilettura globale ma molto precisa e ragionata. Attingiamo pertanto al suo libro per questa presentazione riprendendo alcuni stralci dal capitolo secondo «Parroco a Regona (1873-1883). Pastoralità e catechesi»  (pagg 38-46).

Con Bellò precisiamo subito che la maggior parte degli scritti di don Vincenzo è costituita da «una lunga serie di omelie, conferenze, dottrine e un compendio di catechismo. In queste pagine si può leggere l’anima della sua pastorale ammonitrice e istruttiva».  Con lui ne «rileviamo i caratteri principali, che non sono pochi, e, in qualche caso, sorprendenti».

  1. L’aspetto culturale della sua predicazione «deriva certamente da letture e prestiti teologici. Il carattere più spiccato è quello apologetico. Sono usati i testi classici secondo la migliore tradizione ecclesiastica dell’epoca. Si sente anche l’eco di Civiltà Cattolica a cui fu abbonato».
  2. Della società a lui contemporanea coglie «l’imperare della scienza miscredente e la costruzione di una società atea». Per questo è portato ad una «rigorosità morale nell’intento di eludere il mondo come categoria del male».
  3. Segue in toto la linea teologica «del Vaticano I con la visione della Chiesa gerarchica, dove le funzioni sono fissate in modo severo». Insieme alla chiesa «egli esalta pure il pontificato», entrambi «vertici di sicurezza. La chiesa è una realtà invincibile e il pontificato è un luogo di forza sostenuto dalla provvidenza».
  4. L’aspetto più massiccio e completo delle opere di don Vincenzo «è la predicazione catechistica. Rimangono un catechismo di carattere dogmatico e una trattazione organica di morale, completi perché costituirono la trama di un lungo colloquio con i fedeli di Regona e di Vicobellignano». In questi scritti lo viluppo della materia è scrupoloso, la dottrina è esatta e soprattutto l’esposizione è facile e scorrevole.
  5. Nelle numerose conferenze alle religiose, non esclusivamente le sue figlie, ma anche le suore di altre congregazioni (sappiamo che ha predicato gli esercizi spirituali all’Istituto Figlie del Sacro Cuore e all’Istituto del Buon Pastore), «va osservato un particolare del tutto originale e cioè il continuo trasferirsi della dottrina in ascetica e di questa nella dottrina. Questa osmosi tra le due forme, che sono l’istruzione e l’educazione, sono un carattere costante della sua predicazione, catechesi e formazione».
  6. «La sua spiritualità è ignaziana e l’animazione è filippina: una spiritualità severa, costruita, capace di coinvolgere tutta la persona… e l’animazione esprime una dolce disponibilità a servire con senso ilare e pronto, rivolto ai più piccoli e ai più bisognosi».
  7. Quando don Vincenzo tratta della dimensione sociale sembra ignorare i movimenti operai già attivi; egli «rimane nella prospettiva evangelica del Guai a voi o ricchi, ponendo l’attenzione sul pericolo delle ricchezze in confronto alla salvezza», e «intende il lavoro come espiazione e arma potente contro il vizio» cioè in una dimensione moralistica. Don Vincenzo in questo modo, non vuole impedire «ai suoi ascoltatori di prender coscienza dei diritti sociali», ma prevalgono l’«impegno dottrinale e morale dei suoi scritti che trascinano il predicatore quasi fuori dai concreti riferimenti della situazione sociale politica», non certo il volerla negare o combattere.

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